martedì 13 gennaio 2015

Reportage Albania


                                                     
E’ bastato l’entusiasmo contagioso di Caterina per convincerci ad attraversare il Canale d’Otranto e trascorrere alcuni giorni in Albania, dove lei ormai è di casa da vent’anni durante i quali ha tessuto e consolidato amicizie e affetti diventati più che familiari. Per cui, quando lei annuncia che sta per arrivare nel paese delle aquile, si attiva una sorta di tam-tam, un passaparola tra i suoi amici albanesi, dislocati in varie parti del paese, che dopo un intrico di telefonate, e-mail e quant’altro iniziano a preparare l’accoglienza con inviti e incontri durante tutta la permanenza.
   Caterina ha dedicato all’Albania molti libri fotografici e documentari a partire da “Le figlie di Teuta” a “Luli, fiori d’Albania” sino a quello più recente “L’isola di Rina. Ritorno a Saseno”. La decisione del viaggio, a dire il vero, è stata immediata e i preparativi alquanto veloci, sollecitati dall’omaggio a Rina Durante in terra albanese in occasione della “Settimana della lingua italiana nel mondo

Sul traghetto Brindisi-Valona, nonostante le poche ore di sonno in cabina, la notte passa veloce e tra una sigaretta e l’altra, un caffè, un giro attraverso i vari ponti della nave e qualche chiacchiera con Caterina, Giovanna e Cesarina le sette ore di traversata trascorrono veloci, tanto che alle prime luci dell’alba l’isola selvaggia e solitaria di Saseno ci appare con tutto il suo carico di emozioni perché quella era l’isola di Rina.
Inizia con questa immagine l’arrivo in Albania, raccontata in diretta con più fotografie da Caterina e conservate nella memoria della sua macchina fotografica digitale e in quella di una piccola telecamera, che ha sempre a portata di mano tanto che viene da pensare ad un suo prossimo documentario o libro. Di Saseno si dicono molte cose ma ancora non è ben chiaro quale sarà il destino l’isola albanese che annuncia la baia di Valona a poche decine di miglia dalla costa adriatica pugliese. Certo è che, al di là dei nostri pensieri e delle nostre emozioni, non sarà più l’isola dell’infanzia gioiosa di Rina Durante, dato che si parla di villaggi turistici con annessi casinò, centri benessere e catene commerciali secondo un’idea progettuale dell’immancabile sceicco arabo. Per ora, appunto, è solo un’idea ma sono in molti, invece, a sperare che diventi un parco naturale capace di qualificare al meglio un turismo sostenibile come risorsa economica su cui la giovane e nuova classe dirigente del “paese delle aquile” dovrebbe puntare, senza alcun tentennamento, proprio per evitare quella rapina del territorio con improbabili e mostruose costruzioni, che dopo la caduta del comunismo sono sotto gli occhi di tutti da Durazzo a Valona, a Tirana e in altre città.
Quanto mai opportuna è stata, dunque, l’iniziativa del console italiano Stefano Bergesio ad ospitare presso la sala convegni del Palazzo della Cultura “Laberia” di Valona, la presentazione del libro-documentario “L’isola di Rina. Ritorno a Saseno”, che ha visto un’affollata partecipazione di giovani e anziani, veterani della Marina militare albanese, intellettuali e scrittrici, tra cui Tatjana Kurtiqi e Diana Chuli, quest’ultima pubblicata in Italia dall’editrice salentina Besa di Livio Muci, che hanno potuto così scoprire e ad alcuni di ricordare quell’isola inaccessibile perché militarizzata nel corso dei decenni trascorsi.
Tatjana e Diana sono venute a Valona da Tirana ed anche Teùta Alia lo scrittore
Nasho Jorgaqi, Lura Baci, Leonardo Zito e Luan Sula,  noto cantante lirico dell’Opera di Tirana, ha voluto essere presente all’incontro, segno del forte rapporto che lo lega a Caterina, madrina peraltro del suo primogenito.

Va detto che c’è voluta tutta la caparbia di Caterina e una forte volontà e passione per allestire questo complesso lavoro editoriale non solo sul fronte della scrittura collettiva di più autrici ma, soprattutto, nella realizzazione del video giacchè per poter raccogliere, filmare e documentare ciò che resta di Saseno ha dovuto superare infiniti impedimenti burocratici relativi allo status militare di quel pugno di terra nel Mare Adriatico. Ma alla fine, superando ostacoli a non finire, è riuscita a fissare per sempre uno sguardo unico ed esclusivo dell’isola, dove negli anni Trenta, in pieno regime fascista, la piccola Rina imparò a leggere e a scrivere e a muovere i primi innocenti passi verso quella capacità narrativa, che avrebbe segnato per sempre la sua esistenza.
Oltre l’affetto e la memoria, l’azzardo del libro e il relativo documentario rappresentano una testimonianza di grande afflato proprio perché mettersi sulle tracce inesistenti della nostra indimenticabile amica nella solitudine di Saseno assume tutta la valenza struggente di un’epoca perduta per sempre. Resta però il “luogo dell’anima”, metafora di ciascuna delle nostre esistenze, aggrappate a momenti che hanno segnato il trascorrere del tempo. Così per Rina è stata l’isola aspra e selvaggia delle ginestre, che non ha mai più potuto rivedere se non in lontananza, durante le nostre traversate verso la Grecia a bordo della mitica pilotina, che chiamammo “Hotel Alalonga” quasi fosse uno yacht per miliardari attraccato a Corfù. Ma se Saseno era irraggiungibile, Rina non distolse mai lo sguardo indagatore sull’Albania, tanto che restano memorabili i suoi reportage pubblicati a partire dagli anni Sessanta sino a metà degli Ottanta del secolo scorso su diversi giornali, tra cui La Gazzetta del Mezzogiorno e Quotidiano di Lecce, Brindisi e Taranto delle cui pagine culturali e di quelle degli spettacoli avevo la responsabilità redazionale. Fu quella una stagione straordinaria e irripetibile, che si sviluppò sino all’alba del nuovo secolo e che proprio per questo rende ancora più tangibile la mancanza di quel confronto quotidiano e di quella fraterna e amicale complicità con Rina a dieci anni esatti dalla sua scomparsa.
Occorre ricordare che a Saseno, avamposto militare anche dopo il fascismo durante il regime comunista di Enver Hoxha, non mancava nulla: c’erano sì caserme e bunker ma anche cinema, teatro, negozi, scuole, biblioteche; non c’era però l’acqua che arrivava con capienti navi cisterne e che ancora oggi costituisce un’evidente carenza. Di tutto questo non è rimasto più nulla, solo costruzioni diroccate o rase al suolo da incomprensibili esercitazioni militari e da una inconcepibile furia distruttrice di tutte le strutture pubbliche, che il comunismo aveva realizzato non solo in quel pugno di terra ma in tutta l’Albania. La ricostruzione sarà ancora lunga e faticosa, ma l’ottimismo si percepisce in ogni campo e suscita una naturale curiosità per come sarà costruito il destino e il futuro di questo piccolo paese dalla grande dignità. Certo non potrà essere solo il turismo l’unica fonte di ricchezza, ma dovranno pensare anche a riattivare il settore primario dell’agroalimentare e rimettere in piedi un minimo di sistema industriale di piccole e medie imprese per evitare che l’Albania diventi definitivamente un protettorato tedesco-americano. Qui la prospettiva europea potrebbe giocare un ruolo determinante se solo si fosse capaci di abbandonare gli egoismi nazionali e quella sorta di neo-colonialismo degli anni Duemila, ancora più devastante di quello passato ormai alla storia.
La permanenza in Albania con Caterina, Giovanna e Cesarina ci ha fatto scoprire o riscoprire non solo una inaspettata vivacità intellettuale, frutto anche della vecchia formazione di carattere francese, ma anche un paese giovane dal “cuore antico” e dalle mille sfaccettature e, soprattutto, ha fatto sì che venissero meno quei pregiudizi rispetto ai nostri dirimpettai, nati e cresciuti all’ombra del loro lungo e doloroso esodo biblico verso le nostre coste ma oramai, si spera, definitivamente sepolti. Ci apparivano così lontani gli antichi popoli dell’Illiria e dell’Epiro ma erano vicini, più prossimi di quanto potessimo pensare non solo per la comune storia ma per quell’Adriatico, che pur nella diversità e nelle drammatiche vicissitudini, ha accomunato culture, scambi e interessi ancora oggi attuali.
Con il Salento e con la Puglia i legami si sono ulteriormente rafforzati anche grazie alle iniziative culturali della rappresentanza diplomatica italiana, che consegnano nuove aperture economiche e disegnano percorsi intellettuali, capaci però di non dimenticare la storia. E a proposito di storia, tra la scoperta della medievale e bellissima Kruje, antica capitale albanese e città dell’eroe dell’indipendenza nazionale Giorgio Castriota Scanderbeg  - cui è dedicato un museo
Pirro Vaso e Pranvera Hoxha - e la brulicante e operosa Tirana, che pur conservando intatti i suoi tratti balcanici, è diventata a tutti gli effetti una metropoli europea con migliaia di italiani che lì risiedono e lavorano, abbiamo avuto in più occasioni l’opportunità di avere contezza della proverbiale ospitalità degli albanesi. Come nel caso dell’incontro con il Maestro Oleg Arapi, direttore dell’Orchestra sinfonica della Rtsh radio-televisione albanese formatosi nel prestigioso Conservatorio di Mosca “ Chaikovsky”, che dopo aver soggiornato a lungo in Italia ha di recente diretto l’opera lirica in due atti “La cartomante” del Maestro casaranese Salvatore Valente, andata in scena in prima assoluta a Tirana nell’aprile scorso. Caterina ha voluto incontrare il M° Arapi per metterlo in contatto con un sindaco di un Comune salentino in vista di una eventuale esecuzione dell’opera nel Salento, ulteriore dimostrazione questa della sua attitudine a tessere e trasmettere rapporti e collegamenti culturali con l’Albania. Un incontro terminato, ovviamente, con un invito a colazione nel ristorante “La vita è bella”, uno dei migliori locali di Tirana, proprio vicino alla nostra ambasciata.
Un’eccellente ospitalità come quella di  Tatjana Kurtiqi e di suo figlio, giovane giornalista con studi al Dams di Bologna, che per festeggiare la sua assunzione annuale nella redazione del telegiornale della Rtsh, ha voluto invitarci a cena in un frequentatissimo ristorante tipico dove la gastronomia albanese dà il meglio di sé, sul tipo di quello intercettato ad Oricum nei pressi di Valona, dove insieme alla cucina italiana trionfano pesce e carne ovina. Qui, preceduti da una telefonata di Tonino da Lecce, che ben conosce il proprietario e l’Albania, siamo stati ricevuti e trattati con grande amicizia, particolare che non ci è sfuggito e che è stato argomento anche di piacevole e sorridente sorpresa.
Ma quella che più personalmente ha fatto maggiore presa è stata l’accoglienza che ci ha riservato Nexhmije Hoxha, amica di Caterina e vedova del dittatore comunista Enver Hoxha, nella sua modestissima casa nella estrema e degradata periferia di Tirana. Caterina conosce da tempo Nexhmije ed a lei, insieme ad Ada Donno, ha dedicato il volume “Il dovere della memoria” ed il documentario “Enver, mio compagno di lotta e di vita”
Nexhmije è un’anziana e bella signora più che novantenne, affabile e generosa, lucidissima e ancora energica, nonostante i numerosi malanni che aggravano le sue condizioni fisiche ma che non hanno minimamente scalfito la sua vividissima capacità intellettuale, tanto che recentemente è stata a lungo intervistata dalla maggiore rete televisiva albanese, mentre continua a lavorare quotidianamente ad una sua biografia per raccontare la sua vicenda umana e politica, a partire da quando ancora studentessa scelse la clandestinità per unirsi ai partigiani nella lotta contro il nazi-fascismo, combattuta in terra albanese anche dagli italiani della Brigata Gramsci. Nella sua piccola abitazione, spesso meta di amici e conoscenti di tutte le nazionalità, Nexhmije vive con rigorosa dignità e conserva, insieme a molti libri e foto del marito e dei suoi familiari, una sua immagine di giovane partigiana in cui è ritratta in tutta la sua acerba bellezza. tato da Pirro Vaso e Pranvera Hoxha -
Nexhmije è un’anziana e bella signora più che novantenne, affabile e generosa, lucidissima e ancora energica, nonostante i numerosi malanni che aggravano le sue condizioni fisiche ma che non hanno minimamente scalfito la sua vividissima capacità intellettuale, tanto che recentemente è stata a lungo intervistata dalla maggiore rete televisiva albanese, mentre continua a lavorare quotidianamente ad una sua biografia per raccontare la sua vicenda umana e politica, a partire da quando ancora studentessa scelse la clandestinità per unirsi ai partigiani nella lotta contro il nazi-fascismo, combattuta in terra albanese anche dagli italiani della Brigata Gramsci. Nella sua piccola abitazione, spesso meta di amici e conoscenti di tutte le nazionalità, Nexhmije vive con rigorosa dignità e conserva, insieme a molti libri e foto del marito e dei suoi familiari, una sua immagine di giovane partigiana in cui è ritratta in tutta la sua acerba bellezza.
E’ un’amabile conversatrice, che in perfetto italiano – lingua molto diffusa in Albania - ha ricordato il suo lontano viaggio nel 1997 a Lecce ospite dei suoi amici Ada e Maurizio e del suo incontro con Rina a casa di Caterina durante una cena di cui non ha perso memoria. Quello tra Caterina e Nexhmije è un rapporto filiale, che parte da molto lontano e che nel tempo si è rafforzato, andando oltre le ferite immancabili della storia. Così, anche in questa occasione non sono mancate le fotografie perché Nexhmije ha voluto che Caterina, insieme a noi, ne conservasse traccia.
Ora del comunismo albanese si può pensare tutto il male possibile e immaginabile ma si fa fatica ad immaginare che tutto quello che è stato sia da gettare nella spazzatura della storia e che questa anziana e distinta signora possa essere stata in passato una feroce e spietata persecutrice, tanto da aver scontato cinque anni di carcere ma solo, però, per appropriazione indebita ai danni dello Stato. Guai a sospendere il giudizio ma forse la storia, eterna consolatrice, ci racconterà con il passare del tempo, che tutto attutisce, un’altra narrazione anche più dannata e drammatica di lacrime e sangue ma non così dissimulatrice perché, in fondo, tutte le grandi utopie (insisto su “tutte”) hanno impresso in milioni e milioni di uomini e donne il marchio di esaltanti passioni rivoluzionarie e scie di travolgenti e abissali tragedie, che nessuna vendetta riuscirà mai a risarcire. E, pertanto, vale la pena di guardare con fiducia e speranza al domani, riconoscendo il meglio del passato senza dimenticare nulla di quella esperienza, consegnata ormai irrevocabilmente alla storia.
La memoria adesso corre a quell’estate del 1988 quando con una delegazione del sindacato scrittori, di cui Rina era una infaticabile dirigente, avremmo dovuto recarci nella “lontana” Albania per una serie di incontri culturali ma poi, con passaporti e documenti già pronti, tutto fu rinviato per cause che non riuscimmo mai compiutamente a comprendere ne tantomeno a giustificare. Così si perse l’occasione di conoscere più da vicino i momenti che precedettero il crollo del Muro di Berlino e con esso la fine del comunismo allora realizzato nell’Europa dell’Est.
Allora, senza nessuna indulgenza, infingimento o, peggio ancora, dannazione della memoria occorre far quadrare i conti con il passato che non passa, anche con quello più recente del dissesto e della mancanza di regole certe, e pensare al futuro con ben altra e paziente prospettiva, facendo proprio con il pessimismo della ragione l’ottimismo della volontà. E questo ci è sembrato essere, nonostante i morsi evidenti della crisi, il cammino del modello intrapreso, pur tra difficoltà e incertezze, dalla nuova e, per certi versi, sorprendente Albania mai come oggi così vicina e non più lontana come ai tempi di Rina e della sua mitica e inaccessibile Saseno, tante volte sognata e raccontata e mai più ritrovata quasi fosse l’isola che non c’è.
                                                     Massimo MELILLO

Un emozionante ritorno a "Casa"


XIV Settimana della Lingua Italiana a Valona.

Il Consolato Generale d'Italia a Valona
in occasione della Settimana della lingua italiana nel mondo organizza il 31 Ottobre 2014, ore 18:00
presso il Palazzo della Cultura “ Laberia” di Valona
la presentazione del Libro/Documentario
“L’Isola di Rina. Ritorno a Saseno” a cura di Caterina Gerardi

Saluti del Console Generale D’Italia a Valona
Dott. Stefano Bergesio

Interventi
Caterina Gerardi, regista
Ada Donno, giornalista
Diana Chuli, scrittrice
Tatjana Kurtiqi, scrittrice
Massimo Melillo, vicepresidente Associazione Stampa
Di Puglia

Lura Baci, traduttrice e interprete
Testimonianze
Leonardo Zito, luogotenente Marina Militare Italiana
Dionis Andoni, capitano del porto di Valona
Bardhosh Gace, scrittore, etnografo-Università di Valona
Pietro Brokaj, Marina Militare Albanese




 GRANDE ACCOGLIENZA! 
Il 31 ottobre 2014 si è conclusa presso il palazzo della cultura "Labëria" con la presentazione del libro/documentario "L'ISOLA DI RINA. RITORNO A SASENO" in presenza dell'autrice, regista e giornalista Caterina Gerardi, del giornalista Massimo Melillo, delle scrittrici albanesi Diana Culi e Tatjana Kurtiqi, delle autorità locali e di persone che hanno vissuto sull'isola di Saseno.


giovedì 10 aprile 2014

L'isola di Rina approda a Firenze 27 marzo 2014 Galleria La corte


di Dora Elia

Parlare di Rina mi emoziona sempre. E’ un’emozione che non so descrivere, un richiamo forte, un tum tum nel petto che diventa sempre più forte ogni volta che sono a due passi da lei nelle parole di chi la racconta, nelle immagini di chi la ritrae, nelle letture dei suoi scritti che faccio con dedizione da tempo, da quando, ragazzina, leggevo le sue opere conservate nella biblioteca comunale di Melendugno, così difficili da trovare altrove e ora introvabili anche lì, con desiderio di scoperta di luoghi che non riuscivo ancora ad amare e con l’adorazione frammista a timore reverenziale per una donna che riscattava ai miei occhi un paese che mi ha più tolto che dato. Quel maledetto timore che mi ha fatto restare lontana da lei la volta in cui, ventenne, l’ho ascoltata e son rimasta lontana: allora mi è mancato il coraggio di dirle grazie per la sua letteratura e la sua poesia. Ho umilmente scritto di lei per le piccole testate con cui ho collaborato in passato, ho curato piccoli eventi a lei dedicati e ho continuato a cercare nel territorio le sue tracce, ad amare il suo vivere.

Tra le persone a lei care, sempre disposte a raccontarla, a ricordarne la testardaggine e la stramberia, l’impegno socio-politico e la delicatezza delle lettere, l’innovazione e la passione che metteva nelle cose, ho incontrato Caterina, qualche anno fa, in non ricordo più quale manifestazione o interesse comune, sicuramente intessuto di Rina. Caterina che la ritrae nei suoi documentari, Caterina che capisce che su me può contare se c’è da raccontare Rina, Caterina che viene a Melendugno per occasioni diverse in memoria della Durante e che mi invita a Lecce e dintorni quando si parla di Malapianta o Tramontana.
Caterina che conosce il sogno di Rina, il desiderio del ritorno all’isola dell’infanzia, l’albanese Saseno, mai esaudito forse perché i tempi non erano buoni o più semplicemente perché, come spesso accade col trascorrere delle stagioni, si conosce davvero il luogo in cui ci si vedeva bambini e non lo si assolutizza più come la terra felice a cui siamo stati strappati, ma come una parte di noi che non c’è più e che deve lasciare il posto ai luoghi del passato più recente e del presente ultimo. Lo dico forse più per me, che sognavo di tornare a Milano dove ho passato i primi anni della mia vita, città che mi sembrava da sogno e che ora che sono “grande”, e la conosco per ciò che è davvero, non potrebbe essere mai il mio luogo, non a discapito del mio mare. Ma questa è la mia storia.
Il sogno di Rina è altro, la sfida del ritorno in quell’isola militare il cui ingresso era interdetto ai più l’ha forse accompagnata fino alla fine e Caterina, dopo anni di richieste, ricerche, lavoro caparbio riesce a realizzarlo, è a Saseno, ne visita le strade, le case distrutte, il verde che ricorda quello delle passeggiate di Rina per arrivare dall’entroterra al mare. Ci riporta le immagine di una terra selvaggia che sembra abbandonata, poco resta di ciò che cullava l’infanzia della nostra amica. Ciò che più mi colpisce è che la pellicola di Caterina, questa volta, la guardo a Firenze, in una galleria piena di gente che non conosce Rina, ma che sembra amarla quanto noi, che ascolta con attenzione la lettura degli stralci dei suoi racconti e degli aneddoti che hanno colorato la sua vita sull’isola. Ciò che mi è entrato dentro è l’abbraccio dello sguardo di Caterina quando sono entrata in sala, il sorriso che mi ha fatto sentire a casa, che mi ha regalato un momento magico, familiare, di quelli che non so spiegare, che fanno fare tum tum al cuore appunto.


Da Feltre a Firenze per respirare l’aria che mi riempie i polmoni di una passione sempre fresca quando si parla di Rina, per non sentirmi più straniera in una città non mia se della mia illustre cittadina si parlava come di un’amica, con ammirazione e commosso ricordo. Una serata che non scorderò, in cui Rina era presente con forza tra lo scorrere delle immagini e delle parole sussurrate a ricordarla, a tessere il filo rosso che, grazie a lei, tra me e Caterina resta nel tempo, malgrado l’alternarsi delle assenze alle frequentazioni dettato dagli impegni quotidiani, che diventa più forte ogni volta che ci scriviamo una mail o ci regaliamo una telefonata, ogni volta che entriamo, in punta di piedi, nell’isola sconosciuta ai più che è stata la preziosa vita di Rina, un’esistenza che merita di essere raccontata anche oltre i confini salentini.

L’ISOLA  DI  RINA
di Rita Albera
L’incontro letterario che vi proponiamo è un viaggio tra sogno e realtà,ispirato a quel sottile,struggente, contraddittorio desiderio che è la nostalgia, il desiderio di qualcuno, di un luogo, di un tempo che non è più, che si è amato e si ama o ci si illude di amare proprio per la sua impossibilità. Ma è anche un incontro particolarmente felice perché nato sotto il segno dell’amicizia,il più libero e generoso dei sentimenti,a volte persino più importante della famiglia, più sicuro e duraturo dei legami d’amore. Vedremo insieme il commovente documentario girato da Caterina Gerardi ”L’isola di Rina”,dedicato all’amica scomparsa,la scrittrice salentina  Rina Durante e alla magica infanzia di lei,trascorsa nell’isola albanese di Saseno. Il documentario accompagna un prezioso libro, in cui a brevi racconti della Durante si alternano testimonianze e approfondimenti della Gerardi e di un gruppo di coraggiose “ragazze”da Carla Vestroni ad Ada Donno,da Luisa Ruggiu a Diana Chuli e a Daniela Grifi.
Ma chi era Rina e dove era la sua isola? Rina Durante è stata una figura di spicco,una protagonista a tutto campo di quella intellighenzia di sinistra, spesso di impronta meridionale che ha animato la cultura italiana degli anni Sessanta, Settanta e ancora oltre. Rina nella sua vita ha fatto tante cose -è stata tante cose-dice la sorella Pia. E’ stata una scrittrice di romanzi e racconti di grande e naturale talento, segnata da una matrice modernamente tore nel gioco di una irresistibile vivacità. Una amica di riferimento,una guida,un esempio prezioso per la crescita intellettuale e l’ emancipazione femminile di quegli anni. Sicuramente un personaggio scomodo e forse per questo suo carattere spinoso e per la sua idiosincrasia alle “giuste frequentazioni”, dopo i suoi primi successi  nazionali una scrittrice un po’ trascurata e negletta. Ma da qualche tempo la critica è tornata ad interessarsi di Rina Durante e anche questa nostra serata è la giusta occasione per scoprirla e amarla. verghiana ed incline a quel realismo magico che alita in altre scrittrici del tempo come Anna Maria Ortese, Elsa Morante e la stessa  Goliarda Sapienza. E’ stata una poetessa, un’intellettuale impegnata, una ricercatrice delle tradizioni folkloristiche e musicali della sua terra, è stata giornalista,autrice teatrale,sceneggiatrice,attivista politica e persino attrice ed enogastronoma nient’affatto dilettante. Una donna atipica in quegli anni difficili del dopoguerra specie nel Sud. Coraggiosa,anticonformista,controcorrente.  Un impasto di razionalità, energia, stravaganza- la descrive un amico- capace di polemiche aspre,di permalose stranezze,ma anche di grandi generosità ed inaspettate mitezze. Una personalità spinosa e solare che trascinava l’interlocutore
Rina Durante era nata nel 1928 a Melendugno nel  leccese ma a tre anni, si trasferì con la sua famiglia nella piccola Isola di Saseno tra Otranto e Valona dove il padre era stato comandato come capoposto della Regia Marina Militare. A Saseno,la verde Sezan  barbagliante di ginestre, Rina trascorse la sua infanzia con la madre Lucia, che le fece da maestra e la iniziò alla lettura, il padre severo e burbero temuto e amato e le due sorelle maggiori. Una vita non facile,segnata da una sconsolata solitudine, ma per Rina bambina indomita,coraggiosa,innamorata del mare,della natura,degli animali dei libri e della libertà un’infanzia favolosa e bianca che ne segnò profondamente il carattere fino a determinarne il suo destino di donna e di scrittrice. Quando nel  39 Mussolini occupò tutta l’Albania,vivere a Saseno divenne pericoloso e Rina con la sua famiglia tornò a Melendugno.
Ma l’isola, quell’isola dove stordita_dice-dal profumo delle troppe ginestre mi sentii per la prima volta poeta, quell’isola le rimase per tutta la vita nell’anima amata e odiata come tutti i grandi amori. Sognava, progettava di tornarvi, ma non ebbe mai la possibilità o forse il coraggio di farlo
“Mio povero stanco cuore/ a Saseno non torneremo più./se dovessimo ritrovare una sola pietra rimossa/ci cadrebbe anche questa illusione”.
A Caterina Gerardi la decisione e l’impresa di ritornarvi come per adempiere a una eredità, un lascito sentimentale che la scomparsa dell’amica le affida, come una forma di congiungimento d’anime che sfida il tempo.  Nasce così tra tante difficoltà il documentario dove l’isola fisica verde e luminosa ,ma anche abbandonata e scempiata dalle macerie , si sovrappone a quell’altra isola,l’isola che non c’è ,l’isola mentale dov’è il ricordo della nostra infanzia,il momento magico lontano dalle temperie e dalle delusioni della vita,quando ancora non sappiamo che si deve stupidamente morire. In fondo come dice la Ortese,”viviamo,invecchiamo alla luce dell’infanzia”.

Concludo con questi scherzosi versi di Rina che così bene la ritraggono: ”nel bosco di seta e di piccoli fauni/sono lo spiritello che danza tra le felci e i funghetti/ ma potrei essere il  delfino che nuota allegramente nell’acqua limpida/: tenero, innocente, burlone, vulnerabile, immortale”.






Rina, Caterina e l'Isola che c'è



di Rosaria Guacci
Un'isola non c'è se non la vedi. Poi cominci a pensarla, ti ingegni ad andarci e allora l'isola esiste. È Saseno, l'isola dell'infanzia di Rina Durante, scrittrice, intellettuale salentina che Caterina Gerardi, fotografa documentarista vuol trovare per dare forma a quei primi anni selvaggi, immensamente liberi ma anche "ubbidienti" dell'amica. Mare accecante, fioritura di piante selvatiche che mangia tutto quello che non è acqua salata e edifici fatiscenti, prima italiani (periodo fascista) poi albanesi (periodo socialista). Vediamo sentiamo Rina e le sorelle bambine; veniamo anche a sapere della madre e del padre capoposto militare di quello scoglio strategico perso in un azzurro che è anche implacabile. Risate, frasi di donne piccole, poi cresciute; canzoni di marinai o del giradischi di casa - ed è il mondo che entra di prepotenza nell'eremo. Vestiti scuri, quaderni, libri, le prime poesie e gli abbozzi dei lavori teatrali che saranno la passione della Rina adulta. 

Il valore aggiunto di questo film è l'aver saputo comunicare l'emozione ma anche lo spaesamento di una donna in cerca dei segni dell'altra che sente come una viva parte di sé. È regista e ne ha gli strumenti: ripresa dopo ripresa, li rintraccia.
Nel film di Caterina l'isola c'è, e c'è anche uno spaccato di poesia nello stile asciutto, scabro che le appartiene.
Docufilm "L'isola Di Rina"
di Caterina Gerardi,
Circolo della Rosa di Milano,
visto sabato 22 marzo.