Caterina Gerardi – fotografa, giornalista e regista salentina – ci presenta l’ultimo dei suoi lavori.
“L’isola di Rina.
Ritorno a Saseno” (Lecce: Milella, 2013) è il titolo del film e del libro che
raccontano la vita della scrittrice salentina Rina Durante (1928-2004) negli
anni ‘30 a Saseno. Nell’isola albanese, da sempre presidio militare e terra di
esercitazioni belliche, la Durante viveva assieme alla sua famiglia: il padre
era a capo delle truppe italiane di stanza nell’isola.
Saseno dalla motovedetta |
La Gerardi riesce in un’impresa ardua: quella di accedere a
Saseno, da sempre preclusa ai civili. Per la fotoreporter salentina, si tratta
non solo di dar voce a una realtà, attraverso le immagini e i volti che l’hanno
segnata. E’, soprattutto, una promessa fatta alla sua amica Rina: quella di
tornare nell’isola che, per la scrittrice, rappresentava il luogo dell’infanzia
al quale ha sempre continuato a sentirsi legata, anche dopo averlo lasciato per
vivere nel Salento, a Melendugno. Saseno non costituisce solo la maglia di
affetti che forgia la sua sensibilità di bambina-adolescente, ma anche una
fucina di interessi e di stimoli verso ciò che non conosce e per il quale
mostra avida curiosità. L’isola, da un lato, diventa un nuovo e più ampio “nido”
da cui si originano nuovi legami affettivi. Dall’altro, rappresenta il luogo
solitario in cui la Durante si rifugia: un mondo completamente suo, in parte
inaccessibile agli altri.
La Gerardi si fa interprete di questo cordone affettivo. Da
un lato, gli permette di rivivere e rinnovarsi; dall’altro se ne lascia
assorbire, vivendolo in prima persona, e riscoprendosi piacevolmente arricchita.
La strategia adottata per raccontare il viaggio e la storia
di Rina è una narrazione a tre dimensioni: quella delle immagini, delle voci, e
dei suoni. Su questi tre livelli, passato
e presente si raccontano attraverso un continuo avvicendarsi che richiama la
struttura narrativa adottata dal Pavese in La
luna e i falò che pure, in fondo, racconta la storia di un viaggio che si
divide tra i ricordi della vita passata e il presente.
Le immagini nel film, così come le foto all’interno del
libro, si alternano tra presente e passato. A quelle attuali che testimoniano
un’isola ormai logorata dal tempo, con ciò che rimane del vecchio ospedale,
della scuola, del teatro o dei comandi fascisti, si intervallano quelle
storiche. Si tratta di filmati e immagini che riprendono la vita di allora, i
momenti di esercitazione militare, piuttosto che l’attività di propaganda che
ha scandito la vita di Saseno nel periodo fascista. Tali immagini si incastrano
con vecchie foto o filmati che ritraggono Rina e la sua famiglia nel periodo sull’isola.
Anche le voci si
intervallano. Quella narrante della Gerardi dà spazio alle parole di Rina (riprese
da un’ intervista rilasciata anni prima) e a quelle della sorella Pia. Si
tratta di tre punti di vista diversi e di diversi livelli di consapevolezza.
Quella della Gerardi è la voce di chi cerca di scoprire attraverso il presente
e i ricordi della Durante un passato mai vissuto, ma al quale si sente vicina
perché chiave di volta del carattere e della sensibilità di Rina. Quella di
Rina è la voce che racchiude assieme all’emozione dei ricordi di un tempo anche
una certa paura di scoprire che Saseno ha cambiato volto e di non riconoscerla
più, di smarrirsi in un luogo ormai estraneo. Infine, la voce di Pia è quella
che permette di materializzare la vita passata nell’isola e di descrivere
meglio la Durante. Una voce non scevra di barriere: la sorella Rina appare
talvolta incomprensibile, soprattutto quando chiusa nel suo mondo fantastico.
Musiche e suoni rappresentano la terza chiave di lettura del
racconto. Si tratta delle canzoni di un
tempo ascoltate dalla famiglia; di note popolari albanesi che hanno
accompagnato la vita di Saseno; delle voci storiche, come quella di Mussolini;
dei suoni della natura, che fa da cornice a tutto il resto.
La Gerardi sembra voler rapire lo spettatore per immergerlo in
realtà parallele, intrecciate da suoni, immagini e voci. Come in una sinestesia
allargata, il racconto stimola sfere percettive diverse, riuscendo a costruire spazi
storici differenti. Sembra che la narrazione si costruisca da sé, invogliando
lo spettatore a prenderne parte e ad immedesimarsi nella Rina bambina,
permettendo di condividere i suoi sentimenti per l’isola.
Ma non solo. L’isola di
Rina diventa paradigma di un viaggio interiore alla ricerca di sé stessi,
attraverso l’esperienza di valori universali – l’amore per la famiglia, per la
natura, per la pace – e di sentimenti ed emozioni profondi – l’affetto, la nostalgia,
il distacco. Il racconto sembra sortire un effetto catartico sullo spettatore
che si realizza soprattutto alla fine del film, quando la Gerardi afferma di
aver ritrovato Rina nel suo viaggio e, in questo modo, una parte di sé. Queste
parole non solo si fanno conclusione della emozionante esperienza vissuta dalla
giornalista, ma - attraverso di esse - lo spettatore sembra stemperare la
tensione emotiva ingenerata dal racconto e trovare un senso di pace, la stessa
pace invocata per l’isola-mondo di Saseno.