mercoledì 11 settembre 2013

Caterina Gerardi e Rina Durante

di Giovanni Invitto

 Anni fa, quando diventammo amici, Rina mi dedicò “La Malapianta” con questa frase: “A Giovanni, che sa tutto di me e, per fortuna, non lo dice”. Lei si riferiva a piccoli problemi di famiglia che mi aveva comunicato nella speranza di qualche soluzione.
Abbiamo avuto da Caterina Gerardi, io e mia moglie Marisa, meno di due mesi fa, quello che lei stessa ha definito “un libro, un dono, un abbraccio”. Perché collego le due dediche? Perché ora “so tutto” di Rina. Il lavoro di Caterina costituito da uno splendido film-documento L’isola di Rina. Ritorno a Saseno, titolo che è anche del libro che ha scritti-testimonianze della stessa Rina, di Caterina, di Ada Donno, Rosella Simone, Diana Chuli, Tatjana Kurtiki, Luisa Ruggio, Daniela Grifi. Metto alla fine Pia Durante, sorella di Rina, perché ha anche un ruolo importante nel documentario di cui si parlava prima.
Se Rina fosse ancora viva, potrei dirle: “Cara Rina, solo ora “so tutto di te”, grazie a Caterina e al suo lavoro. E, con quella documentazione, non solo io ti conosco a tutto tondo ma ti potranno conoscere tutti.       
 
Rina (in piedi) e le sorelle vicino la casa di Saseno


Il lavoro fatto da Caterina Gerardi di memorie (non in memoria) pone un punto fermo sulla scarsa letteratura che è disponibile oggi sulla intellettuale salentina. Il filmato “Ritorno a Saseno” , che cuce immagini rare (quelle dell’infanzia di Rina) con immagini della contemporaneità, amplia anche dal punto di vista qualitativo e documentaristico l’archivio della memoria. Le voci che ascoltiamo sono quella di Rina, di Caterina, di Pia.
Ne esce un quadro abbastanza ricco e puntuale che si confronta con le memorie di alcuni di noi. E quella bambina di Saseno è rinata in quest’opera composita di Caterina, donna vulcanica e creativa che io conosco dagli anni ‘60 quando studiava per gli esami universitari con mia sorella Antonietta, che oggi, purtroppo, non può apprezzare il valore della antica compagna di studi.    
Di Rina Durante sentivo parlare spesso durante la mia giovinezza. Era la giovane scrittrice che si era trasferita a Roma anche per avere una solida piattaforma di lancio, adeguata all’incipiente notorietà nazionale. Poi, delusa dall’ingorgo umano costituito dalla capitale, dalla burocratizzazione anche di strutture culturali, come il Sindacato Nazionale Scrittori, che sarebbero dovute rimanere agenzie di supporto agli artisti e agli operatori culturali, lei tornò nel Salento e riprese l’insegnamento.
Riallacciò i suoi rapporti vitali con personaggi decisivi, come Adriano Barbano, fotografo e regista, con cui Rina girò il film “Tramontana”. Barbano, morto relativamente giovane, fu il pioniere nel Salento della televisione via cavo e poi via etere. Vittorio Pagano, poeta “maudittanto meno letto quanto più evocato nell’interno della triade salentina (Comi, Bodini, Pagano), che scimmiotta le tre “corone” del primo Novecento (Carducci, Pascoli, D’Annunzio). Con Comi, la sua Accademia lucugnanese e la rivista “L’Albero”, Rina Durante e Maria Corti avevano fatto l’ingresso nel mondo della letteratura dalla porta principale.
Dopo lo sfilacciamento dell’esperimento di Lucugnano, mentre la Corti proseguì la sua carriera universitaria a Pavia, con una breve parentesi a Lecce (sede che non ha mai amato), Rina riprese la sua paziente tessitura grafica, la sua attività di docente nella scuola media e superiore. Poi l’importante parentesi romana che lei ricordava, negli ultimi tempi, senza grosso entusiasmo. “La Malapianta”, pubblicata con Rizzoli, le fece ottenere, a metà degli anni sessanta il Premio Salento: unica donna salentina, unico premiato salentino in assoluto in quelle edizioni prestigiose di circa quindici anni che si chiusero con quel riconoscimento.
Tornata da noi, si rituffò, con la sconsiderata generosità di sempre, nella viscere della nostra cultura. Nei primi anni settanta fondò il “Canzoniere grecanico salentino” che riprendeva, in tempo reale, ciò che avveniva nell’ambito nazionale, cioè la scoperta della etnomusica e della musica folklorica. Erano i tempi del “Nuovo Canzoniere Italiano”, di Giovanna Marini, che la Durante accompagnava in giro per le sue ricerche nel Salento, ma soprattutto erano i tempi della “Nuova Compagnia di Canto Popolare”, di quel Roberto De Simone che era stato vicino al demartiniano Diego Carpitella, a cui oggi è dedicato un Centro a Melpignano.
Rina Durante si spese così, monopolizzata dal suo interesse per le radici, l’identità e l’autenticità, non avendo mai paura di dire e scrivere cose “irregolari” di sé e degli altri. Quello che scrisse, nell’ultimo volume uscito con lei viva, disse alcune cose su Vittorio Pagano che le costarono l’amicizia e il saluto della sorella del poeta. Ma lei, sempre sorridendo, diceva che aveva detto solo cose vere. Perché prendersela?
Io l’ho conosciuta di persona, in maniera stretta e amichevole, nell’ultimo decennio. Era già pensionata, e le sue esiguissime risorse servivano anche ad una rete di parenti, di nipoti ed altro, nei confronti dei quali ella ha avuto sempre l’atteggiamento della chioccia protettiva. E ce n’era bisogno. La coinvolsi in una operazione politica. Organizzai per le elezioni comunali del ’98 una lista civica con programma ispirato all’Ulivo. Lei, socialista nell’anima, accettò di buon grado, direi goliardicamente, di candidarsi. Se ricordo bene, fece solo un incontro di donne nella casa di un’amica a San Cesario ed un incontro letterario e teatrale in una stanza dei Salesiani. Ebbe pochissimi voti, ma si divertì moltissimo. Anche per i pochissimi voti.        
Come ha scritto Maria Forcina in un testo apparso su “Via Dogana”, Rina ripeteva spesso che tutto quello che sapeva l’aveva appreso da sua madre, la sua prima maestra. Ed era vero: così torniamo all’opera di Caterina dove i passaggi biografici sono sottolineati. Non solo perché aveva passato la sua infanzia di fronte alla baia di Valona, nell’isola di Saseno, anche oggetto specifico della documentazione filmica di Caterina Gerardi. A Saseno, dove il padre era stato inviato come comandante della Marina Militare, lei e le sorelle impararono a leggere e scrivere, grazie alla madre che insegnò loro il gusto per le parole, il piacere della lettura, la cura della scrittura. Da lei Rina aveva anche imparato a giocare, cosa che insegnano tutte le mamme. Come dei giochi, serbò il ricordo delle ninnananne materne: «Ma la mia patria vera\ è su questo quadrato di terra\ da tutti abbandonato,\ dove mormora un vento di ninnenanne\ non mai dimenticate» e dove «nelle notti di maggio\ i grilli cantano inascoltati nella desolata finitudine\ dei torrioni corrosi».
Lei era tornata nel Salento e aveva ripreso l’insegnamento, cercando quella pienezza di vita di cui aveva narrato nel romanzo scritto a 36 anni, che non era, come è stato scritto, un mondo scomparso senza morale e perduto in un destino di animali, ma dove aveva raccontato di una pienezza di vita simile a quella delle tante male piante che crescono sulle zolle salentine. Da noi, dice ancora Forcina, ci sono ancora campi di gramigna, cardi e papaveri che, quando non subiscono i diserbi per far attecchire nuove culture o la selezione per chi deve crescere e chi deve morire, esplodono con una miriade di sfumature di verde e giallo e rosso in una pienezza di vita smisurata, che ha varcato il limite, ma non può non essere amata e dove la trasgressione improduttiva delle campagne è tenerezza lieve delle foglie che «affina i sensi e dilata le emozioni».
Per tutto questo grumo di storie di vita, il lavoro di Caterina Gerardi rilancia in maniera forte, piacevole, documentata questa figura iniziatrice dell’autonomia e dell’autorità – per usare un termine rilanciato da Luisa Muraro - culturale delle donne salentine e non solo. La maestria di Caterina, la dolcezza nel narrare l’amica fanno sì che cd e testo non siano la documentazione asettica di una vita e di un’opera, ma sono la storia di una donna che ha fatto scelte coraggiose da tutti i punti di vista, sulla propria pelle, senza chiedere rimborsi materiali e morali, e sempre con l’ironia, segno di una fine intelligenza pronta a ridimensionare se stessa e la vita.