mercoledì 22 maggio 2013

Dove l'inizio di un'isola...



S’è Verde è il suo complementare



Un'immagine di Rina Durante bambina sulla bicicletta sull'isola di Saseno
di Francesco Pasca

Tempo fa leggevo alcuni versi di una poetessa polacca, Wisława Szymborska, morta a Cracovia il 1^ febbraio del 2012, premiata con il Nobel nel 1996. In Polonia rivaleggiava e i suoi testi lo fanno ancora con i più autorevoli autori di prosa.
Mi sono soffermato volentieri per la sottile ironia di quei versi, oggi la riprendo volentieri dopo aver letto di un’isola, di un’adolescenza cercata.  Riprendo mentalmente quei versi per questo mio nuovo scritto.
La prosa caduta sotto la mia attenzione è stata: UN’ADOLESCENTE.
«Io – un’adolescente? Se ora, d’improvviso, si presentasse qui,/dovrei salutarla come una persona cara,/benché mi sia estranea e lontana?/ […] Siamo così dissimili/che forse solo le ossa sono le stesse,/la calotta cranica, le orbite oculari. / […] Siamo così diverse,/i nostri pensieri e parole così differenti./Lei sa poco/ […] Mi mostra delle poesie,/ […] Leggo quelle poesie, le leggo. [...] / Sul suo modesto orologio/ il tempo è ancora incerto e costa poco./ Sul mio è molto più caro ed esatto. […]
Per commiato nulla, un sorriso abbozzato/ e nessuna commozione./ Solo quando sparisce/ e nella fretta dimentica la sciarpa/ Una sciarpa di pura lana,/ a righe colorate,/ che nostra madre/ ha fatto per lei all’uncinetto./ La conservo ancora.»
(Wisława Szymborska)

venerdì 17 maggio 2013

Leggendo L'Isola di Rina 2.



Cuciture di Santa Scioscio

Collage di ritagli di immagini, frammenti di fotografie, matite, acquerelli, acetati con calligrafia cuciti su cartoncino

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[…] Antonio, pugliese, ed Ettore, napoletano, fanno parte come me di una delegazione dell’Associazione Italia-Albania, che sarà ospite del Comitato per i rapporti con l’estero. Entrambi i miei compagni di viaggio sono ex partigiani della Gramsci, il leggendario battaglione composto interamente da italiani, tranne Samj Kotherja, il comandante, eroi del popolo albanese. Essi dunque conoscono molto bene questo paese che hanno percorso palmo palmo nei lunghi inverni della terribile guerra fascista, e di quella ancora più terribile che combatterono accanto ai partigiani albanesi, dopo l’otto settembre.
Racconta Antonio: «Quando arrivò la notizia dell’armistizio, mi trovavo con la mia divisione nei pressi di Kruja. Il nostro comandante di divisione diede subito l’ordine di rispondere col fuoco a qualsiasi tentativo dei tedeschi di disarmarci, in parole povere lui era contro i tedeschi, prima ancora che gli altri comandanti italiani avessero dato direttive precise in proposito. L’ordine vero e proprio di andare contro i tedeschi venne infatti a distanza di qualche giorno, un ritardo fatale perché i tedeschi invece si organizzarono subito. Peccato, perché in quel momento erano quattro gatti e noi li avremmo schiacciare in poche ore. Le altre divisioni italiane, a differenza della nostra, attesero gli ordini dall’Italia, ma nel frattempo i tedeschi, che invece avevano avuto direttive precise, passarono subito all’azione, e fu per questo che, per quanto incredibile possa apparire, quei quattro gatti riuscirono a disarmare il nostro esercito. Tranne ovviamente i reparti che si erano subito organizzati, come il nostro, appunto. Tu ora mi chiederai che fine fecero questi pochi reparti italiani che presero subito le armi contro i tedeschi. Ebbene, devi sapere che dopo i primi scontri, peraltro violentissimi, e con perdite enormi da ambo le parti, un bel giorno scoprimmo che gli ufficiali se l’erano squagliata. Proprio così: una mattina non si trovò più un ufficiale da nessuna parte.


Avevano capito che eravamo isolati, che dall’alto nessuno li pensava più, nessuno ci avrebbe riforniti. Immagina che, ad esempio, il nostro comandante, che pure era di sentimenti antitedeschi, quella mattina aveva telefonato all’alto comando e aveva saputo da un povero furiere, che si trovava ancora lì per caso, che non c’era più nessuno, che se l’erano filata tutti. Quando la voce che non c’era più nessun comando, che eravamo abbandonati, si sparse tra i soldati, cominciammo a consultarci febbrilmente sul da farsi. Qualcuno gridava contro gli ufficiali vigliacchi, altri inveivano contro il fascismo che ci aveva precipitati in quella tragedia, altri infine piangevano, non sapendo che fare. Allora io chiamai quei compagni che conoscevo come comunisti e gli dissi: “Compagni, io vado ad unirmi ai partigiani albanesi. Chi la pensa come me, mi segua!”. Alcuni mi seguirono. Gli altri soldati si dispersero per i monti, in cerca di ospitalità presso i contadini. Andarono ad offrire le loro braccia in cambio di ospitalità. Era infatti accaduto un fatto straordinario: Enver Hoxha, l’attuale presidente, aveva diffuso un proclama alla popolazione, in cui diceva: “Una cosa sono i fascisti, un’altra il popolo italiano. Date dunque aiuto e ospitalità ai soldati italiani sbandati”. Per questo proclama, che forse molti italiani neppure conoscono, molte madri hanno rivisto i loro figli dopo la guerra. Così, mentre io e i miei compagni riuscivamo a metterci in contatto con i partigiani, gli sbandati trovavano ospitalità presso i contadini: indossavano i loro costumi, lavoravano la terra, facevano i muratori, portavano le mucche al pascolo, e in cambio ricevevano cibo. Nessuno infatti li sapeva distinguere dagli albanesi, soprattutto i tedeschi. Solo gli stessi italiani li riconoscevano a colpo d’occhio.


Per questo i tedeschi si portavano appresso i fascisti. Li mandavano avanti. Quando i fascisti, vestiti da semplici soldati, riconoscevano qualcuno, si avvicinavano e dicevano: “Paisà, come te la passi qui?”. Attaccavano discorso, quello ci cascava subito. Subito il fascista dava il segnale, sbucava la pattuglia tedesca e faceva fuoco sul soldato sbandato, e dopo magari appiccava il fuoco alla casa del contadino. Si, la situazione degli italiani in Albania era terribile, ed era ancora l’inizio…». […]


Da “le parole di Rina”, in "L’isola di Rina, Ritorno a Saseno",  “Viaggio nel pianeta Albania”, pp. 84-87
(da Quotidiano di Lecce del 28 ottobre,
5 novembre e 20 dicembre 1990).

lunedì 13 maggio 2013

Leggendo L'isola di Rina


Cuciture di Santa Scioscio
Collage di ritagli di immagini, frammenti di fotografie, matite,
acquerelli, acetati con calligrafia cuciti su cartoncino

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"Le bianche scogliere del Salento richiamano il volo sghembo dei gabbiani, sembrano levigate dalle lunghe ali pallide, rotte qua e là dagli improvvisi colpi delle zampette. Negli anfratti s’intrufolano le erbe marine, quelle azzurre, misteriose, che sembrano brani d’onda impigliati tra le rocce.



La costa bassa sembra ansiosa di pareggiare il mare, si sfalda voluttuosamente nell’azzurro in una smania silenziosa di distruzione.
La terra frana, porosa, cedevolissima.
Il mare la divora in un impeto spumoso, ebbro di tanta arrendevolezza, incapace di comprendere che la terra, al pari di una donna che si dona, s’accampa inavvertita dentro di lui.




Quando arrivai nel Salento, Saseno, dove avevo trascorso l’infanzia, era divenuta già un mito. Questa nuova terra aridissima distesa all’infinito senza alcun ostacolo che ne interrompesse la teoria delle pianure, brulle, questa nuova variazione della crosta terrestre così ostinatamente incolore, sfornita e povera d’ombra s’accampò come un triste emblema nello spazio del mio spirito.
M’impegnai ad odiarla fino alla morte e, nella mia ostinazione infantile, durai finché potei. Ma quando giungeva primavera, una commossa animazione, mi scioglieva il nodo del petto: ripensavo ai pascoli azzurri dell’isola, le vette aguzze dell’Albania, l’antro verde delle argentarie, umido di frescura.




Le immagini dell’infanzia, legate ai luoghi che affioravano, mi consumavano di angoscia.
[…]"

Da “Le parole di Rina”, in "L’isola di Rina, ritorno a Saseno"
“La bella moglie del comandante”, p. 152 (da Quotidiano di Lecce, 15 giugno 1980)


sabato 11 maggio 2013

Piccolo reportage di un viaggio necessario

Il profilo di Saseno visto dalla motovedetta che ci riporta a Valona

di Caterina Gerardi

Saseno è stata per Rina il sogno di tutta la vita. Avrebbe voluto tornarci ed ha provato a farlo più volte, sempre senza risultato.
Per me, dalla notte in cui Rina ci ha lasciato, Saseno è diventata un pensiero costante: dovevo a tutti i costi conoscere quel luogo mitico dove la mia amica aveva imparato ad amare i libri e il mare.
Volevo verificare di persona che l'isola di cui Rina parlava fosse davvero un luogo speciale, il luogo dove la sua infanzia spensierata e selvaggia era stata una esperienza indimenticabile, che aveva segnato nel profondo la  sua personalità, il suo modo di essere donna e scrittrice.
Realizzare il sogno di Rina è stata un’impresa difficilissima.  Ci sono voluti più di tre anni per avere l’autorizzazione di accesso all’isola.
Ogni volta che tornavo in Albania andavo all’Ambasciata italiana per proporre il mio progetto. Erano attese snervanti e code infinite. Giornate intere senza concludere nulla.
Nei soggiorni in quel paese non perdevo occasione per parlare della mia idea, di quello che avrei voluto realizzare, chiedevo aiuto ai miei amici albanesi, ma tutti si stringevano nelle spalle non sapendo cosa consigliarmi.
Una volta però, dopo insistenze, sono stata ricevuta nell’ufficio del primo segretario dell’Ambasciatore. Dopo avermi ascoltata lui mi guardò con un’espressione stupita e sconcertata e mi disse: “Signora, si rende conto di quello che sta chiedendo? Saseno è un’isola militare e nessun civile, nessun albanese è mai salito su quell’isola. E’ impossibile, a Saseno hanno accesso solo i militari”.
Nonostante questa risposta cercai di convincerlo ricordando il legame speciale, affettivo e culturale, che Rina aveva mantenuto con l’Albania, sottolineanando che questo lavoro poteva rendere ancora più saldi i rapporti di amicizia tra i due paesi.
Il giovane segretario, vista la mia determinazione o forse per tagliare corto, scrisse allora su un foglietto il suo recapito e quelli dell’Ambasciatore e dell’Addetto per la Difesa presso l’Ambasciata d’Italia in Albania.
In quel momento capii che le persone i cui nomi erano scritti sul foglio avevano realmente il potere di farmi arrivare a Saseno. Tornata in Italia informai Ada Donno, con la quale avevo condiviso la mia intenzione di ritrovare l’isola, che il progetto poteva forse realizzarsi.
Cominciò così un periodo di serrata corrispondenza con le autorità italiane in Albania. Dopo qualche tempo un fax dell’Ambasciata italiana ci comunicò che il Capo dello Stato Maggiore Generale del Ministero Della Difesa della Repubblica d’Albania aveva autorizzato l’accesso sull’isola di Saseno.
Così ha avuto inizio la nostra avventura.
Una mattina lasciammo il piccolo porto di Oricum con la motovedetta della guardia di finanza italiana, la stessa che controlla i traffici illeciti nella baia di Valona, per raggiungere l’isola.
Durante il viaggio, emozionata e attenta, guardavo dappertutto per non farmi sfuggire nulla. Il cuore mi tremava, avrei voluto avere occhi dappertutto, utilizzarli come se fossero stati un grandangolare estremo
Pensavo alle parole di Rina che si accavallavano nella mia mente: “Saseno era un’isola bellissima”… ”diventava tutta gialla in estate quando fiorivano le ginestre”….  “arrivando dal mare era uno spettacolo straordinario”.
Arrivati nelle vicinanze del porticciolo di San Niccolò la motovedetta rallentò per entrare e in lontananza vidi sulla banchina le sagome di alcune persone che ci aspettavano; per più di un momento ho creduto che tra loro, ad aspettarci, ci fosse anche Rina.
L’accoglienza fu straordinaria, i marinai sapevano già le ragioni della nostra visita ed erano quindi pronti ad assecondare le nostre richieste.
 Salimmo allora su due fuoristrada militari, inerpicandoci lungo una strada di pietre alla scoperta dell’isola e della casa di Rina, seguendo il filo dei suoi racconti: “noi stavamo sul cocuzzolo di una montagna staccati completamente dal resto dell’isola”…  “più in alto c’era il corpo di guardia”…  “dalla nostra casa vedevamo il Comando”.
 I giovani soldati che ci accompagnavano, oramai coinvolti anch’essi nella ricerca, ci indicarono dei luoghi che avrebbero potuto coincidere con la descrizione.  Insieme a loro studiammo una carta geografica dell’isola per capire di più e avere più elementi da seguire.
 Camminammo lungo stradine sterrate, tratturi sconnessi pieni di cartucce e bombe di qualsiasi tipo, senza parlare, in un silenzio assoluto rotto solo dal rumore del mare,  del vento, da fruscii, cinguettii, ma guardando ogni cosa con molta attenzione.
 La vegetazione rigogliosa, che nel frattempo aveva coperto le tracce lasciate dalla guerra, rendeva meno squallido quel paesaggio inquietante.
Cercavamo le argentarie, le ginestre… mi tornavano in mente le parole della sorella Pia: ”andavamo nelle vallate a raccogliere le ginestre, questo era il gioco più bello”… “da una scorciatoia si arrivava al mare dove facevamo il bagno fino a ottobre”…
E’ stato difficilissimo trovare in questa nuova Saseno la traccia dei racconti di Rina. L’isola negli anni si è trasformata, lasciando visibili solo i resti stratificati della storia del tempo passato.
La famiglia Durante era rientrata a Melendugno nell’aprile del 1939, quando Mussolini occupò tutta l’Albania. Dopo la liberazione dal fascismo e dopo i 50 anni di Regime Socialista, Saseno è diventata luogo per esercitazioni militari e preda di saccheggiatori.
L’isola di Rina, il suo paradiso perduto, la bella Saseno era un campo di battaglia. Dovunque rottami arrugginiti, cartucce, bombe a mano, bunker, camminamenti.
I militari ci raccomandavano di stare attente, di non toccare nulla, di camminare con cautela.
Tutto era stato distrutto dalle esplosioni. Rimanevano edifici pericolanti, pavimenti sfondati e muri mitragliati. Dalle scritte sbiadite sui muri si capiva dove c’era stata una scuola, un ospedale, un asilo, un teatro.
Sull’isola ho cercato di mettere insieme tutte le informazioni e i riferimenti emersi dai racconti di Rina e della sorella Pia, per poter riconoscere il luogo dove era situata la loro casa.
Ecco, dicevamo, il monte Cullie deve essere questo…. Lì in alto si vedono i resti del corpo di guardia,…. giù in fondo si scorge il Comando…
Alla fine, in quella che penso di aver riconosciuto, entro, mi muovo nelle piccole stanze, guardo fuori dalle finestre. Tutto sembra al posto giusto. Questa dev’essere la casa! O forse mi sono illusa, ma che importa, ho comunque adottato quella che secondo me è stata la casa di Rina Durante.

Filmare non è stato facile, le riprese sono state penalizzate dal fatto che sull’isola non potevo muovermi da sola, né scegliere i tempi.
Io avrei fatto lunghe soste per ottenere più documenti e più dettagli, ma eravamo sempre accompagnate a distanza ravvicinata da due marinai che, nonostante le rassicurazioni sul fatto che erano lì per aiutarci, mi creavano comunque tensione e ansia.
Il tempo di permanenza sull’isola era poco (almeno per me) e sempre nelle stesse ore del giorno: un paio d’ore la mattina e ancora un paio d’ore dopo la pausa pranzo, poi la motovedetta della guardia di finanza, prima dell’imbrunire, ci veniva a prendere, per riportarci a Valona.
Rina nei suoi racconti parlava di tramonti infuocati, di cieli straordinari, di lune gigantesche. E lì la sera, il buio vero c’era. Ho cercato di rimanere almeno una notte sull’isola, ma mi è stato detto che era impossibile.
Per realizzare questo progetto ho chiesto, come ormai è mio solito, la collaborazione di alcune amiche: Ada Donno e Rosella Simone che sono venute con me sull’isola, Luisa Ruggio che conosceva già questa storia da un’intervista fatta a Rina, le scrittrici albanesi Diana Chuli e Tatjana Kurtiqi e la critica cinematografica Carla Vestroni.
Un discorso a parte merita Daniela Grifi di Firenze, che ha letto in rete del mio progetto e mi ha scritto per raccontarmi che anche la sua famiglia era stata a Saseno.  Suo padre, infatti,  fu mandato sull’isola nel 1939 come ufficiale di artiglieria da costa. Lei, che era cresciuta con i racconti di Saseno, ci ha offerto la sua testimonianza e le belle fotografie d’epoca dell’archivio di famiglia.
Il filmato, della durata di 35 minuti, ripercorre una parte significativa della vita della scrittrice salentina, nel contesto storico-geografico altrettanto significativo delle relazioni politico-militari fra l’Italia e l’Albania nel periodo immediatamente precedente la seconda guerra mondiale.
Il volume che l’accompagna, di 184 pagine, corredato da circa 150 fotografie, contiene in una sezione i testi di Rina Durante relativi all’esperienza vissuta a Saseno, nell’altra gli scritti delle amiche che hanno partecipato al progetto.

Per finire, posso dire che sono abbastanza soddisfatta del risultato raggiunto. Raccontare questa storia è stato molto difficile. Sono passati cinque anni dal momento in cui il progetto è stato pensato. Ma quello che mi rende particolarmente felice è di aver mantenuto la promessa che avevo fatto a me stessa: realizzare il sogno di Rina, ritornare a Saseno.

giovedì 9 maggio 2013

Le ragioni di questo blog nel contributo di Daniela Grifi

Io non sono mai stata a Saseno, eppure la conosco bene. Nell'infanzia mia madre, insieme alle favole, mi raccontava la vita della mia famigia sull'isola, prima che io nascessi, e quelle storie assumevano un fascino misterioso e fiabesco. La sua memoria è diventata la mia e anch'io ora ho nostalgia di Saseno.
Mio padre, tenente di artiglieria da costa, vi fu mandato nel 1939 e mia madre, che -letteralmente, l'ho letto nelle sue lettere - non poteva vivere lontana da lui, decise di seguirlo con due figli piccolissimi, Umberto di 15 mesi, Mariarita di 40 giorni. Vissero nell'isola per più di due anni, intervallati da periodi di separazione quando la base diventava troppo rischiosa.
Da quanto ho ricostruito partirono in novembre, quindi in una stagione difficile; il loro primo alloggio era in una zona chiamata Valle Inferno, perché particolarmente selvaggia e battuta dai venti, al punto che una volta il tetto volò via. Mia madre vi allestì per Mariarita una culla fra due sedie e fu molto fortunata perché ebbe latte per lei fino allo svezzamento. I disagi erano compensati da una natura bellissima e incontaminata: rocce affioranti costellate in primavera da miriadi di ginestre e orchidee selvatiche e una popolazione di vari animali, asini, caprette e tanti tanti conigli. C'era a Saseno qualche altra famiglia , ma credo che i miei fratelli fossero gli unici bambini, di conseguenza coccolatissimi da tutti. A mia madre piaceva raccontare questo episodio divertente per tutti escluso il malcapitato: nei mesi più freddi era riuscita ad appropriarsi di una stufetta elettrica, che però non aveva il permesso di usare per motivi di risparmio energetico; Umberto accostandosi troppo si era scottato e, sebbene gli fosse stato proibito di parlarne,  l'arrossamento che ne era derivato sulla  coscia riproduceva esattamente il disegno delle pareti metalliche della stufetta  rivelando l'« illecito» e suscitando l'ilarità del comandante.
Un successivo alloggio era situato vicino a un aerofono, un apparecchio usato per captare in anticipo il rumore degli aerei nemici in avvicinamento e a localizzarne la provenienza. Quando non era in funzione, nonostante le proibizioni, per i bambini il suo dispositivo rotante diventava una giostra.
Sebbene vi si verificassero anche episodi intensamente drammatici - i cadaveri, sulla spiaggia, di una nave affondata davanti a Valona, un aereo abbattuto - Saseno fu per la mia famiglia un rifugio dalla guerra abbastanza sicuro e vi si cementarono  amicizie rimpiante per lungo tempo. Conservo una foto, dedicata a mio padre, del comandante Lauricella citato nell'intervista a Pia Durante;  mio fratello ricorda di avere giocato con due ragazze adolescenti e gli piace pensare che potrebbero essere state Rina e Pia.
Nell'isola nascevano anche storie d'amore. Un giovane ufficiale toscano, ammirando il carattere  e l'aspetto di mia madre, le chiedeva spesso scherzando  se avesse una sorella e, quando la sorella arrivò in visita  trattenendosi per un lungo periodo, non si lasciò sfuggire l'occasione. Dopo un breve corteggiamento in cui lui, con spericolati avvicinamenti, le lanciava dall'aereo pacchi di dolci e doni, fu organizzato il matrimonio sull'isola, celebrato dal cappellano, l'altare adorno di ginestre. Si parlò a lungo di un talamo allestito nella foresteria con due brandine di altezza decisamente diversa.
Anche Pierina, la giovane tata  che viveva con la nostra famiglia e aveva voluto seguirla  in quell'avventura era circuita dai tanti marinai, ma, donna di carattere energico e ombroso, reagiva agli avvicinamenti a colpi di scopa.
Nei periodi di separazione, quando solo mio padre rimaneva nell'isola, mia madre gli scriveva con ritmo giornaliero e, leggendo questa corrispondenza che conservo gelosamente, ho capito che spesso le lettere e i pacchi non venivano impostati, ma recapitati tramite i pescherecci che partivano dal porto di San Benedetto del Tronto, dove lei viveva.
Affascinata da questi racconti, ho fatto un viaggio in Albania  con mio marito  nel 1977 quando era al potere Enver Oxa, aggregandoci  alla delegazione di una rivista, ma non  riuscii a vedere Saseno neanche da lontano. Comunque il viaggio fu interessante e tornai incinta del mio primo figlio.
I miei se ne sono andati col desiderio di rivedere la loro isola,  mi piace pensare che  se  non fossero stati arricchiti, rafforzati nei sentimenti e anche un po' protetti da questa esperienza forse non sarei nata.
*  *  *
É Daniela Grifi, nella testimonianza accolta nel film-libro di Caterina Gerardi, “L’Isola di Rina - Ritorno a Saseno”, opera dedicata all’infanzia di Rina Durante, edita da Milella, che sarà presentato in due appuntamenti mercoledì 15 maggio, e poi ancora il 22 maggio dalle 18.30, nei luoghi della Torre del Parco a Lecce.
Il blog “Ritorno a Saseno, in cerca delle storie - Invito alla testimonianza di chi ha ricordi di vita vissuta sull'isola albanese” (http://ritornoasaseno.blogspot.it) vuole raccontare ed accompagnare il film e il libro nel suo percorso di incontro con il pubblico, ma soprattutto, vuole sollecitare e muovere memoria in quanti hanno vissuto una storia simile a quella di Rina Durante sull'isola albanese di Saseno, un esercizio collettivo per ricostruire una storia rimasta a lungo sconosciuta, come nel caso qui pubblicato di Daniela Grifi che, saputo del progetto, ha spontaneamente contattato Caterina Gerardi per renderla partecipe della sua personalissima esperienza dell’isola.

martedì 7 maggio 2013

In cerca! Alleato un amore terroso e testardo



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“Sono a Valona e guardo Saseno, l'isola che protegge il golfo di questa città albanese cresciuta troppo in fretta per essere bella. La guardo controluce e non mi dice niente. Ci sono venuta per l'entusiasmo contagioso di Caterina Gerardi che di questa piccola isola mi aveva raccontato la storia singolare; avevo assorbito, quasi per osmosi, la passione che Caterina trasmetteva nel raccontare la sua amica, la scrittrice salentina Rina Durante, che in quell'isola aveva trascroso l'infanzia insieme alle sue tre sorelle, alla madre, al padre maresciallo e 1500 soldati! Una delle tante, incredibili storie del pazzo novecento, il mio secolo. Insomma, prima di sbarcare qui mi ero nutrita della emozione della mia amica Caterina che voleva, con tutta la forza del suo amore terroso e testardo, “incontrare” su quell'isola la sua amica Rina, come era allora. in quei lontani anni quaranta in cui l'Europa si stava sfracellando e Rina era una bambina assetata di avventura, chiusa e protetta in quell'isola del tesoro che avrebbe plasmato la sua vita e  la sua immaginazione. Caterina voleva compiere il miracolo impossibile del ritorno all'infanzia di Rina. Come fosse stata la fata Campanellino e scuotendo polvere magica dalle ali potesse lanciare il sortilegio della memoria. Far rivivere quel tempo, quello spazio, quelle vite in un film a tre dimensione, dove la terza altro non è che amore. Un amore paziente e irriducibile  che l'ha vista lottare per anni sino a  ottenere dalla Marina Militare Italiana l'autorizzazione a entrare in questa isola-fortezza. Da sempre terra di maschi e soldati”.
É Rosella Simone, in uno stralcio tratto dagli scritti accolti nel film-libro di Caterina Gerardi, “L’Isola di Rina - Ritorno a Saseno”, opera dedicata all’infanzia di Rina Durante, edita da Milella.

Un progetto, per realizzare il sogno

«Questa storia comincia un giorno d’inizio estate, quando Caterina dice: “Vorrei andare a Saseno, l’isola della Rina. E’ un po’ che mi gira questa idea nella testa. Andare a cercare la sua casa, ritrovare i luoghi della sua infanzia, che nominava sempre, che raccontava… Lei ha avuto per tutta la vita il sogno di tornare nella sua isola. Farlo noi, tu, Rosella ed io: sarebbe come realizzare per lei il sogno…”.
Tu la guardi perplessa e pensi che è una cosa impossibile. Perché Saseno è zona militare da sempre, lo sanno tutti, e non è accessibile ai civili. Ma Caterina torna alla carica, nei giorni seguenti, nelle settimane, ostinata come sempre, e dice: facciamo un progetto e lo presentiamo alle autorità albanesi. Un progetto come? chiedo: “Care autorità albanesi, ci piacerebbe visitare l’isola di Saseno, dove la scrittrice salentina Rina Durante ha vissuto la sua infanzia negli anni ’30, l’ha nominata nei suoi racconti, ne ha scritto sui giornali, ne ha parlato in televisione? Vorremmo riavvolgere questo filo di tenerezza di una donna che ha collegato il Salento e l’Albania”? Un progetto così? Sì, perché no, dice, può essere interessante anche per le istituzioni albanesi, civili e militari, ricostruire questa storia inedita.
A questo punto anche tu cominci a pensarci come ad una cosa possibile. Senza molto sperarci, ma chissà che davvero … E butti giù il progetto, cercando di illustrare il nostro proposito in maniera  convincente: “ripercorrere una parte essenziale dell’esperienza di vita e di scrittura dell’autrice salentina Rina Durante … ricollegare i fili del suo discorso letterario e intellettuale che riconducono idealmente ai luoghi della sua infanzia, vissuta nell’isola di Saseno…”» É Ada Donno, in uno stralcio tratto dagli scritti accolti nel film-libro di Caterina Gerardi, “L’Isola di Rina - Ritorno a Saseno”, opera dedicata all’infanzia di Rina Durante, edita da Milella....

sabato 4 maggio 2013

Il porto dell'isola


Il porto di Saseno in una vecchia fotografia
Per ingrandire cliccare sull'immagine

Dove dorme l'antichità

“Questo nostro Mediterraneo dolce e tragico, caldo e narrante, calmo e turbolento, si riapre fra le onde come un grande anfiteatro del Mondo. Un nuovo vento globale soffia qui, carezza le coste, le antiche radici, l’azzurro, i propri fili colorati dalle vive culture dei popoli. Quante volte si sono intrecciati,  fatti e disfatti questi fili!...Somigliano alla tela  di Penelope… Ma i colori si accendono e si mescolano con l’aria, con il mare, le radici, la gente e le onde.
Nel nido culturale fra le coste del Canale d’Otranto si risveglia l’Antichità. Le antiche civiltà, i miti, le leggende dei popoli si trasformano subito in onde o ninne-nanne. Ce li portiamo appresso negli anni. Siamo sempre più simili e meno diversi a causa di questi legami antichi. Vanno e vengono qui le stesse onde lambendo entrambe le coste.
E... Saseno sta sempre là. Guarda il mare muta nella sua solitudine insulare.
Forse a causa dell’Antichità è stata e rimane una zona strategica, militare... Intorno i soliti, gli umani, i misteri e la curiosità che regala il mare”.
Quando si tocca la storia da queste parti, c’è una porta che conduce all’Antichità e da lì proviene il protagonismo delle donne. Stavo pensando a Teuta, la regina degli Illiri, ai nostri antenati, alle civiltà greche, romane e pelasgiche: e poi le vicinanze, le contraddizioni, le tempeste, le guerre tra i greci e i troiani, tra gli illiri e i romani, gli esodi, le evacuazioni durante l’occupazione ottomana, fino ai nuovissimi rapporti di migrazione, lungo queste rive di sopravvivenza”.
É Tatjana Kurtiqi, in uno stralcio tratto dagli scritti accolti nel film-libro di Caterina Gerardi, “L’Isola di Rina - Ritorno a Saseno”...

giovedì 2 maggio 2013

Il profilo dell'isola





“Per me è l’isola del mistero. Solitaria, di fronte al Golfo di Valona sta; incalpestata, intoccata, sconosciuta ai più. A eccezione dei soldati di tutti i tempi: greci, romani, bizantini, ottomani, italiani, sovietici e ancora italiani. Agli albanesi appartiene come tratto della frontiera marina, ma pochi sono quelli che la conoscono – sempre solo se in servizio militare. E’ forse l’unica isola del Mediterraneo ad avere questa storia bizzarra: vicina alla costa, eppure condannata a una solitudine perenne, votata alle strategie militari degli stati.
Guardiana eterna dei mari, da bambina l’isola solleticava la mia fantasia: era l’unica isola del mio paese e non avrei mai potuto metterci piede, come non posso ancora oggi. Mi meravigliavano i nomi dei suoi luoghi che avevo sentito: Gryka e Xhehenemit (La gola dell’Inferno), Shpella e Haxhi Alisë (La grotta di Haxhi Ali), Gjiri i Djallit (Il golfo del Diavolo), Plazhi i Admiralit (La spiaggia  dell’Ammiraglio).
Immaginavo soldati e generali di tutte le divise e tipi di armi venir succhiati via da grotte spaventose. Immaginavo bestie mitologiche vagare libere tra valli e colline, sulle sabbie bianche e le rocce che calavano a picco sul mare, per poi svanire scivolando nelle grotte profonde del mare.
Di pomeriggio la vedevo fiammeggiare sotto le luci del vespro. D’estate diventava rossa e rovente, bruciata da fiamme antiche. D’inverno veniva avvolta da nubi e onde. Avevo sentito dire che coloro che abitavano l’isola le assomigliavano. Erano i Guardiani del Mare, perciò rassomigliavano alle sue rocce e alle sue grotte. Quando qualcuno salutava gente che veniva da “laggiù”, mi sembrava che il mistero stesso si stesse materializzando di fronte ai miei occhi, sotto forma umana”.

Sono le parole della scrittrice albanese Diana Çuli, che aprono il racconto di Saseno nel film-libro di Caterina Gerardi, “L’Isola di Rina - Ritorno a Saseno”, opera dedicata all’infanzia di Rina Durante, edita da Milella, che sarà presentato in due appuntamenti mercoledì 15 maggio, e poi ancora il 22 maggio dalle 18.30, nei luoghi della Torre del Parco a Lecce.