di Dora Elia
Parlare di Rina mi emoziona sempre. E’ un’emozione che non
so descrivere, un richiamo forte, un tum tum nel petto che diventa sempre più
forte ogni volta che sono a due passi da lei nelle parole di chi la racconta,
nelle immagini di chi la ritrae, nelle letture dei suoi scritti che faccio con
dedizione da tempo, da quando, ragazzina, leggevo le sue opere conservate nella
biblioteca comunale di Melendugno, così difficili da trovare altrove e ora
introvabili anche lì, con desiderio di scoperta di luoghi che non riuscivo
ancora ad amare e con l’adorazione frammista a timore reverenziale per una
donna che riscattava ai miei occhi un paese che mi ha più tolto che dato. Quel
maledetto timore che mi ha fatto restare lontana da lei la volta in cui,
ventenne, l’ho ascoltata e son rimasta lontana: allora mi è mancato il coraggio
di dirle grazie per la sua letteratura e la sua poesia. Ho umilmente scritto di
lei per le piccole testate con cui ho collaborato in passato, ho curato piccoli
eventi a lei dedicati e ho continuato a cercare nel territorio le sue tracce,
ad amare il suo vivere.
Tra le persone a lei care, sempre disposte a raccontarla, a ricordarne la testardaggine e la stramberia, l’impegno socio-politico e la delicatezza delle lettere, l’innovazione e la passione che metteva nelle cose, ho incontrato Caterina, qualche anno fa, in non ricordo più quale manifestazione o interesse comune, sicuramente intessuto di Rina. Caterina che la ritrae nei suoi documentari, Caterina che capisce che su me può contare se c’è da raccontare Rina, Caterina che viene a Melendugno per occasioni diverse in memoria della Durante e che mi invita a Lecce e dintorni quando si parla di Malapianta o Tramontana.
Caterina che conosce il sogno di Rina, il desiderio del ritorno all’isola dell’infanzia, l’albanese Saseno, mai esaudito forse perché i tempi non erano buoni o più semplicemente perché, come spesso accade col trascorrere delle stagioni, si conosce davvero il luogo in cui ci si vedeva bambini e non lo si assolutizza più come la terra felice a cui siamo stati strappati, ma come una parte di noi che non c’è più e che deve lasciare il posto ai luoghi del passato più recente e del presente ultimo. Lo dico forse più per me, che sognavo di tornare a Milano dove ho passato i primi anni della mia vita, città che mi sembrava da sogno e che ora che sono “grande”, e la conosco per ciò che è davvero, non potrebbe essere mai il mio luogo, non a discapito del mio mare. Ma questa è la mia storia.
Tra le persone a lei care, sempre disposte a raccontarla, a ricordarne la testardaggine e la stramberia, l’impegno socio-politico e la delicatezza delle lettere, l’innovazione e la passione che metteva nelle cose, ho incontrato Caterina, qualche anno fa, in non ricordo più quale manifestazione o interesse comune, sicuramente intessuto di Rina. Caterina che la ritrae nei suoi documentari, Caterina che capisce che su me può contare se c’è da raccontare Rina, Caterina che viene a Melendugno per occasioni diverse in memoria della Durante e che mi invita a Lecce e dintorni quando si parla di Malapianta o Tramontana.
Caterina che conosce il sogno di Rina, il desiderio del ritorno all’isola dell’infanzia, l’albanese Saseno, mai esaudito forse perché i tempi non erano buoni o più semplicemente perché, come spesso accade col trascorrere delle stagioni, si conosce davvero il luogo in cui ci si vedeva bambini e non lo si assolutizza più come la terra felice a cui siamo stati strappati, ma come una parte di noi che non c’è più e che deve lasciare il posto ai luoghi del passato più recente e del presente ultimo. Lo dico forse più per me, che sognavo di tornare a Milano dove ho passato i primi anni della mia vita, città che mi sembrava da sogno e che ora che sono “grande”, e la conosco per ciò che è davvero, non potrebbe essere mai il mio luogo, non a discapito del mio mare. Ma questa è la mia storia.
Il sogno di Rina è altro, la sfida del ritorno in quell’isola militare il cui
ingresso era interdetto ai più l’ha forse accompagnata fino alla fine e
Caterina, dopo anni di richieste, ricerche, lavoro caparbio riesce a
realizzarlo, è a Saseno, ne visita le strade, le case distrutte, il verde che
ricorda quello delle passeggiate di Rina per arrivare dall’entroterra al mare.
Ci riporta le immagine di una terra selvaggia che sembra abbandonata, poco
resta di ciò che cullava l’infanzia della nostra amica. Ciò che più mi colpisce
è che la pellicola di Caterina, questa volta, la guardo a Firenze, in una
galleria piena di gente che non conosce Rina, ma che sembra amarla quanto noi,
che ascolta con attenzione la lettura degli stralci dei suoi racconti e degli
aneddoti che hanno colorato la sua vita sull’isola. Ciò che mi è entrato dentro
è l’abbraccio dello sguardo di Caterina quando sono entrata in sala, il sorriso
che mi ha fatto sentire a casa, che mi ha regalato un momento magico,
familiare, di quelli che non so spiegare, che fanno fare tum tum al cuore
appunto.
Da Feltre a Firenze per respirare l’aria che mi riempie i polmoni di una passione sempre fresca quando si parla di Rina, per non sentirmi più straniera in una città non mia se della mia illustre cittadina si parlava come di un’amica, con ammirazione e commosso ricordo. Una serata che non scorderò, in cui Rina era presente con forza tra lo scorrere delle immagini e delle parole sussurrate a ricordarla, a tessere il filo rosso che, grazie a lei, tra me e Caterina resta nel tempo, malgrado l’alternarsi delle assenze alle frequentazioni dettato dagli impegni quotidiani, che diventa più forte ogni volta che ci scriviamo una mail o ci regaliamo una telefonata, ogni volta che entriamo, in punta di piedi, nell’isola sconosciuta ai più che è stata la preziosa vita di Rina, un’esistenza che merita di essere raccontata anche oltre i confini salentini.
Da Feltre a Firenze per respirare l’aria che mi riempie i polmoni di una passione sempre fresca quando si parla di Rina, per non sentirmi più straniera in una città non mia se della mia illustre cittadina si parlava come di un’amica, con ammirazione e commosso ricordo. Una serata che non scorderò, in cui Rina era presente con forza tra lo scorrere delle immagini e delle parole sussurrate a ricordarla, a tessere il filo rosso che, grazie a lei, tra me e Caterina resta nel tempo, malgrado l’alternarsi delle assenze alle frequentazioni dettato dagli impegni quotidiani, che diventa più forte ogni volta che ci scriviamo una mail o ci regaliamo una telefonata, ogni volta che entriamo, in punta di piedi, nell’isola sconosciuta ai più che è stata la preziosa vita di Rina, un’esistenza che merita di essere raccontata anche oltre i confini salentini.
L’ISOLA DI RINA
di Rita Albera
L’incontro letterario che vi proponiamo è un
viaggio tra sogno e realtà,ispirato a quel sottile,struggente, contraddittorio
desiderio che è la nostalgia, il desiderio di qualcuno, di un luogo, di un
tempo che non è più, che si è amato e si ama o ci si illude di amare proprio
per la sua impossibilità. Ma è anche un incontro particolarmente felice perché
nato sotto il segno dell’amicizia,il più libero e generoso dei sentimenti,a
volte persino più importante della famiglia, più sicuro e duraturo dei legami
d’amore. Vedremo insieme il commovente documentario girato da Caterina Gerardi ”L’isola
di Rina”,dedicato all’amica scomparsa,la scrittrice salentina Rina Durante e alla magica infanzia di
lei,trascorsa nell’isola albanese di Saseno. Il documentario accompagna un
prezioso libro, in cui a brevi racconti della Durante si alternano
testimonianze e approfondimenti della Gerardi e di un gruppo di coraggiose
“ragazze”da Carla Vestroni ad Ada Donno,da Luisa Ruggiu a Diana Chuli e a
Daniela Grifi.
Ma chi era Rina e dove era la sua isola? Rina
Durante è stata una figura di spicco,una protagonista a tutto campo di quella
intellighenzia di sinistra, spesso di impronta meridionale che ha animato la
cultura italiana degli anni Sessanta, Settanta e ancora oltre. Rina nella sua
vita ha fatto tante cose -è stata tante cose-dice la sorella Pia. E’ stata una
scrittrice di romanzi e racconti di grande e naturale talento, segnata da una
matrice modernamente tore nel gioco di una irresistibile vivacità. Una amica di
riferimento,una guida,un esempio prezioso per la crescita intellettuale e l’
emancipazione femminile di quegli anni. Sicuramente un personaggio scomodo e
forse per questo suo carattere spinoso e per la sua idiosincrasia alle “giuste
frequentazioni”, dopo i suoi primi successi
nazionali una scrittrice un po’ trascurata e negletta. Ma da qualche
tempo la critica è tornata ad interessarsi di Rina Durante e anche questa
nostra serata è la giusta occasione per scoprirla e amarla. verghiana ed
incline a quel realismo magico che alita in altre scrittrici del tempo come
Anna Maria Ortese, Elsa Morante e la stessa
Goliarda Sapienza. E’ stata una poetessa, un’intellettuale impegnata,
una ricercatrice delle tradizioni folkloristiche e musicali della sua terra, è
stata giornalista,autrice teatrale,sceneggiatrice,attivista politica e persino
attrice ed enogastronoma nient’affatto dilettante. Una donna atipica in quegli
anni difficili del dopoguerra specie nel Sud.
Coraggiosa,anticonformista,controcorrente.
Un impasto di razionalità, energia, stravaganza- la descrive un amico-
capace di polemiche aspre,di permalose stranezze,ma anche di grandi generosità
ed inaspettate mitezze. Una personalità spinosa e solare che trascinava
l’interlocutore
Rina Durante era nata nel 1928 a Melendugno
nel leccese ma a tre anni, si trasferì
con la sua famiglia nella piccola Isola di Saseno tra Otranto e Valona dove il
padre era stato comandato come capoposto della Regia Marina Militare. A
Saseno,la verde Sezan barbagliante di
ginestre, Rina trascorse la sua infanzia con la madre Lucia, che le fece da
maestra e la iniziò alla lettura, il padre severo e burbero temuto e amato e le
due sorelle maggiori. Una vita non facile,segnata da una sconsolata solitudine,
ma per Rina bambina indomita,coraggiosa,innamorata del mare,della natura,degli
animali dei libri e della libertà un’infanzia favolosa e bianca che ne segnò
profondamente il carattere fino a determinarne il suo destino di donna e di
scrittrice. Quando nel 39 Mussolini
occupò tutta l’Albania,vivere a Saseno divenne pericoloso e Rina con la sua
famiglia tornò a Melendugno.
Ma l’isola, quell’isola dove stordita_dice-dal
profumo delle troppe ginestre mi sentii per la prima volta poeta, quell’isola
le rimase per tutta la vita nell’anima amata e odiata come tutti i grandi
amori. Sognava, progettava di tornarvi, ma non ebbe mai la possibilità o forse
il coraggio di farlo
“Mio povero stanco cuore/ a Saseno non
torneremo più./se dovessimo ritrovare una sola pietra rimossa/ci cadrebbe anche
questa illusione”.
A Caterina Gerardi la decisione e l’impresa di
ritornarvi come per adempiere a una eredità, un lascito sentimentale che la
scomparsa dell’amica le affida, come una forma di congiungimento d’anime che
sfida il tempo. Nasce così tra tante
difficoltà il documentario dove l’isola fisica verde e luminosa ,ma anche
abbandonata e scempiata dalle macerie , si sovrappone a quell’altra
isola,l’isola che non c’è ,l’isola mentale dov’è il ricordo della nostra
infanzia,il momento magico lontano dalle temperie e dalle delusioni della
vita,quando ancora non sappiamo che si deve stupidamente morire. In fondo come
dice la Ortese,”viviamo,invecchiamo alla luce dell’infanzia”.
Concludo con questi scherzosi versi di Rina
che così bene la ritraggono: ”nel bosco di seta e di piccoli fauni/sono lo
spiritello che danza tra le felci e i funghetti/ ma potrei essere il delfino che nuota allegramente nell’acqua
limpida/: tenero, innocente, burlone, vulnerabile, immortale”.