martedì 13 gennaio 2015

Reportage Albania


                                                     
E’ bastato l’entusiasmo contagioso di Caterina per convincerci ad attraversare il Canale d’Otranto e trascorrere alcuni giorni in Albania, dove lei ormai è di casa da vent’anni durante i quali ha tessuto e consolidato amicizie e affetti diventati più che familiari. Per cui, quando lei annuncia che sta per arrivare nel paese delle aquile, si attiva una sorta di tam-tam, un passaparola tra i suoi amici albanesi, dislocati in varie parti del paese, che dopo un intrico di telefonate, e-mail e quant’altro iniziano a preparare l’accoglienza con inviti e incontri durante tutta la permanenza.
   Caterina ha dedicato all’Albania molti libri fotografici e documentari a partire da “Le figlie di Teuta” a “Luli, fiori d’Albania” sino a quello più recente “L’isola di Rina. Ritorno a Saseno”. La decisione del viaggio, a dire il vero, è stata immediata e i preparativi alquanto veloci, sollecitati dall’omaggio a Rina Durante in terra albanese in occasione della “Settimana della lingua italiana nel mondo

Sul traghetto Brindisi-Valona, nonostante le poche ore di sonno in cabina, la notte passa veloce e tra una sigaretta e l’altra, un caffè, un giro attraverso i vari ponti della nave e qualche chiacchiera con Caterina, Giovanna e Cesarina le sette ore di traversata trascorrono veloci, tanto che alle prime luci dell’alba l’isola selvaggia e solitaria di Saseno ci appare con tutto il suo carico di emozioni perché quella era l’isola di Rina.
Inizia con questa immagine l’arrivo in Albania, raccontata in diretta con più fotografie da Caterina e conservate nella memoria della sua macchina fotografica digitale e in quella di una piccola telecamera, che ha sempre a portata di mano tanto che viene da pensare ad un suo prossimo documentario o libro. Di Saseno si dicono molte cose ma ancora non è ben chiaro quale sarà il destino l’isola albanese che annuncia la baia di Valona a poche decine di miglia dalla costa adriatica pugliese. Certo è che, al di là dei nostri pensieri e delle nostre emozioni, non sarà più l’isola dell’infanzia gioiosa di Rina Durante, dato che si parla di villaggi turistici con annessi casinò, centri benessere e catene commerciali secondo un’idea progettuale dell’immancabile sceicco arabo. Per ora, appunto, è solo un’idea ma sono in molti, invece, a sperare che diventi un parco naturale capace di qualificare al meglio un turismo sostenibile come risorsa economica su cui la giovane e nuova classe dirigente del “paese delle aquile” dovrebbe puntare, senza alcun tentennamento, proprio per evitare quella rapina del territorio con improbabili e mostruose costruzioni, che dopo la caduta del comunismo sono sotto gli occhi di tutti da Durazzo a Valona, a Tirana e in altre città.
Quanto mai opportuna è stata, dunque, l’iniziativa del console italiano Stefano Bergesio ad ospitare presso la sala convegni del Palazzo della Cultura “Laberia” di Valona, la presentazione del libro-documentario “L’isola di Rina. Ritorno a Saseno”, che ha visto un’affollata partecipazione di giovani e anziani, veterani della Marina militare albanese, intellettuali e scrittrici, tra cui Tatjana Kurtiqi e Diana Chuli, quest’ultima pubblicata in Italia dall’editrice salentina Besa di Livio Muci, che hanno potuto così scoprire e ad alcuni di ricordare quell’isola inaccessibile perché militarizzata nel corso dei decenni trascorsi.
Tatjana e Diana sono venute a Valona da Tirana ed anche Teùta Alia lo scrittore
Nasho Jorgaqi, Lura Baci, Leonardo Zito e Luan Sula,  noto cantante lirico dell’Opera di Tirana, ha voluto essere presente all’incontro, segno del forte rapporto che lo lega a Caterina, madrina peraltro del suo primogenito.

Va detto che c’è voluta tutta la caparbia di Caterina e una forte volontà e passione per allestire questo complesso lavoro editoriale non solo sul fronte della scrittura collettiva di più autrici ma, soprattutto, nella realizzazione del video giacchè per poter raccogliere, filmare e documentare ciò che resta di Saseno ha dovuto superare infiniti impedimenti burocratici relativi allo status militare di quel pugno di terra nel Mare Adriatico. Ma alla fine, superando ostacoli a non finire, è riuscita a fissare per sempre uno sguardo unico ed esclusivo dell’isola, dove negli anni Trenta, in pieno regime fascista, la piccola Rina imparò a leggere e a scrivere e a muovere i primi innocenti passi verso quella capacità narrativa, che avrebbe segnato per sempre la sua esistenza.
Oltre l’affetto e la memoria, l’azzardo del libro e il relativo documentario rappresentano una testimonianza di grande afflato proprio perché mettersi sulle tracce inesistenti della nostra indimenticabile amica nella solitudine di Saseno assume tutta la valenza struggente di un’epoca perduta per sempre. Resta però il “luogo dell’anima”, metafora di ciascuna delle nostre esistenze, aggrappate a momenti che hanno segnato il trascorrere del tempo. Così per Rina è stata l’isola aspra e selvaggia delle ginestre, che non ha mai più potuto rivedere se non in lontananza, durante le nostre traversate verso la Grecia a bordo della mitica pilotina, che chiamammo “Hotel Alalonga” quasi fosse uno yacht per miliardari attraccato a Corfù. Ma se Saseno era irraggiungibile, Rina non distolse mai lo sguardo indagatore sull’Albania, tanto che restano memorabili i suoi reportage pubblicati a partire dagli anni Sessanta sino a metà degli Ottanta del secolo scorso su diversi giornali, tra cui La Gazzetta del Mezzogiorno e Quotidiano di Lecce, Brindisi e Taranto delle cui pagine culturali e di quelle degli spettacoli avevo la responsabilità redazionale. Fu quella una stagione straordinaria e irripetibile, che si sviluppò sino all’alba del nuovo secolo e che proprio per questo rende ancora più tangibile la mancanza di quel confronto quotidiano e di quella fraterna e amicale complicità con Rina a dieci anni esatti dalla sua scomparsa.
Occorre ricordare che a Saseno, avamposto militare anche dopo il fascismo durante il regime comunista di Enver Hoxha, non mancava nulla: c’erano sì caserme e bunker ma anche cinema, teatro, negozi, scuole, biblioteche; non c’era però l’acqua che arrivava con capienti navi cisterne e che ancora oggi costituisce un’evidente carenza. Di tutto questo non è rimasto più nulla, solo costruzioni diroccate o rase al suolo da incomprensibili esercitazioni militari e da una inconcepibile furia distruttrice di tutte le strutture pubbliche, che il comunismo aveva realizzato non solo in quel pugno di terra ma in tutta l’Albania. La ricostruzione sarà ancora lunga e faticosa, ma l’ottimismo si percepisce in ogni campo e suscita una naturale curiosità per come sarà costruito il destino e il futuro di questo piccolo paese dalla grande dignità. Certo non potrà essere solo il turismo l’unica fonte di ricchezza, ma dovranno pensare anche a riattivare il settore primario dell’agroalimentare e rimettere in piedi un minimo di sistema industriale di piccole e medie imprese per evitare che l’Albania diventi definitivamente un protettorato tedesco-americano. Qui la prospettiva europea potrebbe giocare un ruolo determinante se solo si fosse capaci di abbandonare gli egoismi nazionali e quella sorta di neo-colonialismo degli anni Duemila, ancora più devastante di quello passato ormai alla storia.
La permanenza in Albania con Caterina, Giovanna e Cesarina ci ha fatto scoprire o riscoprire non solo una inaspettata vivacità intellettuale, frutto anche della vecchia formazione di carattere francese, ma anche un paese giovane dal “cuore antico” e dalle mille sfaccettature e, soprattutto, ha fatto sì che venissero meno quei pregiudizi rispetto ai nostri dirimpettai, nati e cresciuti all’ombra del loro lungo e doloroso esodo biblico verso le nostre coste ma oramai, si spera, definitivamente sepolti. Ci apparivano così lontani gli antichi popoli dell’Illiria e dell’Epiro ma erano vicini, più prossimi di quanto potessimo pensare non solo per la comune storia ma per quell’Adriatico, che pur nella diversità e nelle drammatiche vicissitudini, ha accomunato culture, scambi e interessi ancora oggi attuali.
Con il Salento e con la Puglia i legami si sono ulteriormente rafforzati anche grazie alle iniziative culturali della rappresentanza diplomatica italiana, che consegnano nuove aperture economiche e disegnano percorsi intellettuali, capaci però di non dimenticare la storia. E a proposito di storia, tra la scoperta della medievale e bellissima Kruje, antica capitale albanese e città dell’eroe dell’indipendenza nazionale Giorgio Castriota Scanderbeg  - cui è dedicato un museo
Pirro Vaso e Pranvera Hoxha - e la brulicante e operosa Tirana, che pur conservando intatti i suoi tratti balcanici, è diventata a tutti gli effetti una metropoli europea con migliaia di italiani che lì risiedono e lavorano, abbiamo avuto in più occasioni l’opportunità di avere contezza della proverbiale ospitalità degli albanesi. Come nel caso dell’incontro con il Maestro Oleg Arapi, direttore dell’Orchestra sinfonica della Rtsh radio-televisione albanese formatosi nel prestigioso Conservatorio di Mosca “ Chaikovsky”, che dopo aver soggiornato a lungo in Italia ha di recente diretto l’opera lirica in due atti “La cartomante” del Maestro casaranese Salvatore Valente, andata in scena in prima assoluta a Tirana nell’aprile scorso. Caterina ha voluto incontrare il M° Arapi per metterlo in contatto con un sindaco di un Comune salentino in vista di una eventuale esecuzione dell’opera nel Salento, ulteriore dimostrazione questa della sua attitudine a tessere e trasmettere rapporti e collegamenti culturali con l’Albania. Un incontro terminato, ovviamente, con un invito a colazione nel ristorante “La vita è bella”, uno dei migliori locali di Tirana, proprio vicino alla nostra ambasciata.
Un’eccellente ospitalità come quella di  Tatjana Kurtiqi e di suo figlio, giovane giornalista con studi al Dams di Bologna, che per festeggiare la sua assunzione annuale nella redazione del telegiornale della Rtsh, ha voluto invitarci a cena in un frequentatissimo ristorante tipico dove la gastronomia albanese dà il meglio di sé, sul tipo di quello intercettato ad Oricum nei pressi di Valona, dove insieme alla cucina italiana trionfano pesce e carne ovina. Qui, preceduti da una telefonata di Tonino da Lecce, che ben conosce il proprietario e l’Albania, siamo stati ricevuti e trattati con grande amicizia, particolare che non ci è sfuggito e che è stato argomento anche di piacevole e sorridente sorpresa.
Ma quella che più personalmente ha fatto maggiore presa è stata l’accoglienza che ci ha riservato Nexhmije Hoxha, amica di Caterina e vedova del dittatore comunista Enver Hoxha, nella sua modestissima casa nella estrema e degradata periferia di Tirana. Caterina conosce da tempo Nexhmije ed a lei, insieme ad Ada Donno, ha dedicato il volume “Il dovere della memoria” ed il documentario “Enver, mio compagno di lotta e di vita”
Nexhmije è un’anziana e bella signora più che novantenne, affabile e generosa, lucidissima e ancora energica, nonostante i numerosi malanni che aggravano le sue condizioni fisiche ma che non hanno minimamente scalfito la sua vividissima capacità intellettuale, tanto che recentemente è stata a lungo intervistata dalla maggiore rete televisiva albanese, mentre continua a lavorare quotidianamente ad una sua biografia per raccontare la sua vicenda umana e politica, a partire da quando ancora studentessa scelse la clandestinità per unirsi ai partigiani nella lotta contro il nazi-fascismo, combattuta in terra albanese anche dagli italiani della Brigata Gramsci. Nella sua piccola abitazione, spesso meta di amici e conoscenti di tutte le nazionalità, Nexhmije vive con rigorosa dignità e conserva, insieme a molti libri e foto del marito e dei suoi familiari, una sua immagine di giovane partigiana in cui è ritratta in tutta la sua acerba bellezza. tato da Pirro Vaso e Pranvera Hoxha -
Nexhmije è un’anziana e bella signora più che novantenne, affabile e generosa, lucidissima e ancora energica, nonostante i numerosi malanni che aggravano le sue condizioni fisiche ma che non hanno minimamente scalfito la sua vividissima capacità intellettuale, tanto che recentemente è stata a lungo intervistata dalla maggiore rete televisiva albanese, mentre continua a lavorare quotidianamente ad una sua biografia per raccontare la sua vicenda umana e politica, a partire da quando ancora studentessa scelse la clandestinità per unirsi ai partigiani nella lotta contro il nazi-fascismo, combattuta in terra albanese anche dagli italiani della Brigata Gramsci. Nella sua piccola abitazione, spesso meta di amici e conoscenti di tutte le nazionalità, Nexhmije vive con rigorosa dignità e conserva, insieme a molti libri e foto del marito e dei suoi familiari, una sua immagine di giovane partigiana in cui è ritratta in tutta la sua acerba bellezza.
E’ un’amabile conversatrice, che in perfetto italiano – lingua molto diffusa in Albania - ha ricordato il suo lontano viaggio nel 1997 a Lecce ospite dei suoi amici Ada e Maurizio e del suo incontro con Rina a casa di Caterina durante una cena di cui non ha perso memoria. Quello tra Caterina e Nexhmije è un rapporto filiale, che parte da molto lontano e che nel tempo si è rafforzato, andando oltre le ferite immancabili della storia. Così, anche in questa occasione non sono mancate le fotografie perché Nexhmije ha voluto che Caterina, insieme a noi, ne conservasse traccia.
Ora del comunismo albanese si può pensare tutto il male possibile e immaginabile ma si fa fatica ad immaginare che tutto quello che è stato sia da gettare nella spazzatura della storia e che questa anziana e distinta signora possa essere stata in passato una feroce e spietata persecutrice, tanto da aver scontato cinque anni di carcere ma solo, però, per appropriazione indebita ai danni dello Stato. Guai a sospendere il giudizio ma forse la storia, eterna consolatrice, ci racconterà con il passare del tempo, che tutto attutisce, un’altra narrazione anche più dannata e drammatica di lacrime e sangue ma non così dissimulatrice perché, in fondo, tutte le grandi utopie (insisto su “tutte”) hanno impresso in milioni e milioni di uomini e donne il marchio di esaltanti passioni rivoluzionarie e scie di travolgenti e abissali tragedie, che nessuna vendetta riuscirà mai a risarcire. E, pertanto, vale la pena di guardare con fiducia e speranza al domani, riconoscendo il meglio del passato senza dimenticare nulla di quella esperienza, consegnata ormai irrevocabilmente alla storia.
La memoria adesso corre a quell’estate del 1988 quando con una delegazione del sindacato scrittori, di cui Rina era una infaticabile dirigente, avremmo dovuto recarci nella “lontana” Albania per una serie di incontri culturali ma poi, con passaporti e documenti già pronti, tutto fu rinviato per cause che non riuscimmo mai compiutamente a comprendere ne tantomeno a giustificare. Così si perse l’occasione di conoscere più da vicino i momenti che precedettero il crollo del Muro di Berlino e con esso la fine del comunismo allora realizzato nell’Europa dell’Est.
Allora, senza nessuna indulgenza, infingimento o, peggio ancora, dannazione della memoria occorre far quadrare i conti con il passato che non passa, anche con quello più recente del dissesto e della mancanza di regole certe, e pensare al futuro con ben altra e paziente prospettiva, facendo proprio con il pessimismo della ragione l’ottimismo della volontà. E questo ci è sembrato essere, nonostante i morsi evidenti della crisi, il cammino del modello intrapreso, pur tra difficoltà e incertezze, dalla nuova e, per certi versi, sorprendente Albania mai come oggi così vicina e non più lontana come ai tempi di Rina e della sua mitica e inaccessibile Saseno, tante volte sognata e raccontata e mai più ritrovata quasi fosse l’isola che non c’è.
                                                     Massimo MELILLO

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