mercoledì 5 marzo 2014

L'ISOLA DI RINA: una narrazione polifonica

di Azzurra Gigante

Caterina Gerardi   fotografa,  giornalista e regista salentina   ci presenta l’ultimo dei suoi lavori.
“L’isola di Rina. Ritorno a Saseno” (Lecce: Milella, 2013) è il titolo del film e del libro che raccontano la vita della scrittrice salentina Rina Durante (1928-2004) negli anni ‘30 a Saseno. Nell’isola albanese, da sempre presidio militare e terra di esercitazioni belliche, la Durante viveva assieme alla sua famiglia: il padre era a capo delle truppe italiane di stanza nell’isola.

Saseno dalla motovedetta
La Gerardi riesce in un’impresa ardua: quella di accedere a Saseno, da sempre preclusa ai civili. Per la fotoreporter salentina, si tratta non solo di dar voce a una realtà, attraverso le immagini e i volti che l’hanno segnata. E’, soprattutto, una promessa fatta alla sua amica Rina: quella di tornare nell’isola che, per la scrittrice, rappresentava il luogo dell’infanzia al quale ha sempre continuato a sentirsi legata, anche dopo averlo lasciato per vivere nel Salento, a Melendugno. Saseno non costituisce solo la maglia di affetti che forgia la sua sensibilità di bambina-adolescente, ma anche una fucina di interessi e di stimoli verso ciò che non conosce e per il quale mostra avida curiosità. L’isola, da un lato, diventa un nuovo e più ampio “nido” da cui si originano nuovi legami affettivi. Dall’altro, rappresenta il luogo solitario in cui la Durante si rifugia: un mondo completamente suo, in parte inaccessibile agli altri.
La Gerardi si fa interprete di questo cordone affettivo. Da un lato, gli permette di rivivere e rinnovarsi; dall’altro se ne lascia assorbire, vivendolo in prima persona, e riscoprendosi piacevolmente arricchita.
La strategia adottata per raccontare il viaggio e la storia di Rina è una narrazione a tre dimensioni: quella delle immagini, delle voci, e dei suoni.  Su questi tre livelli, passato e presente si raccontano attraverso un continuo avvicendarsi che richiama la struttura narrativa adottata dal Pavese in La luna e i falò che pure, in fondo, racconta la storia di un viaggio che si divide tra i ricordi della vita passata e il presente.
Le immagini nel film, così come le foto all’interno del libro, si alternano tra presente e passato. A quelle attuali che testimoniano un’isola ormai logorata dal tempo, con ciò che rimane del vecchio ospedale, della scuola, del teatro o dei comandi fascisti, si intervallano quelle storiche. Si tratta di filmati e immagini che riprendono la vita di allora, i momenti di esercitazione militare, piuttosto che l’attività di propaganda che ha scandito la vita di Saseno nel periodo fascista. Tali immagini si incastrano con vecchie foto o filmati che ritraggono Rina e la sua famiglia nel periodo sull’isola.
Anche le voci si intervallano. Quella narrante della Gerardi dà spazio alle parole di Rina (riprese da un’ intervista rilasciata anni prima) e a quelle della sorella Pia. Si tratta di tre punti di vista diversi e di diversi livelli di consapevolezza. Quella della Gerardi è la voce di chi cerca di scoprire attraverso il presente e i ricordi della Durante un passato mai vissuto, ma al quale si sente vicina perché chiave di volta del carattere e della sensibilità di Rina. Quella di Rina è la voce che racchiude assieme all’emozione dei ricordi di un tempo anche una certa paura di scoprire che Saseno ha cambiato volto e di non riconoscerla più, di smarrirsi in un luogo ormai estraneo. Infine, la voce di Pia è quella che permette di materializzare la vita passata nell’isola e di descrivere meglio la Durante. Una voce non scevra di barriere: la sorella Rina appare talvolta incomprensibile, soprattutto quando chiusa nel suo mondo fantastico.

Musiche e suoni rappresentano la terza chiave di lettura del racconto.  Si tratta delle canzoni di un tempo ascoltate dalla famiglia; di note popolari albanesi che hanno accompagnato la vita di Saseno; delle voci storiche, come quella di Mussolini; dei suoni della natura, che fa da cornice a tutto il resto.
La Gerardi sembra voler rapire lo spettatore per immergerlo in realtà parallele, intrecciate da suoni, immagini e voci. Come in una sinestesia allargata, il racconto stimola sfere percettive diverse, riuscendo a costruire spazi storici differenti. Sembra che la narrazione si costruisca da sé, invogliando lo spettatore a prenderne parte e ad immedesimarsi nella Rina bambina, permettendo di condividere i suoi sentimenti per l’isola.
Ma non solo. L’isola di Rina diventa paradigma di un viaggio interiore alla ricerca di sé stessi, attraverso l’esperienza di valori universali – l’amore per la famiglia, per la natura, per la pace – e di sentimenti ed emozioni profondi – l’affetto, la nostalgia, il distacco. Il racconto sembra sortire un effetto catartico sullo spettatore che si realizza soprattutto alla fine del film, quando la Gerardi afferma di aver ritrovato Rina nel suo viaggio e, in questo modo, una parte di sé. Queste parole non solo si fanno conclusione della emozionante esperienza vissuta dalla giornalista, ma - attraverso di esse - lo spettatore sembra stemperare la tensione emotiva ingenerata dal racconto e trovare un senso di pace, la stessa pace invocata per l’isola-mondo di Saseno.







 


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