giovedì 9 maggio 2013

Le ragioni di questo blog nel contributo di Daniela Grifi

Io non sono mai stata a Saseno, eppure la conosco bene. Nell'infanzia mia madre, insieme alle favole, mi raccontava la vita della mia famigia sull'isola, prima che io nascessi, e quelle storie assumevano un fascino misterioso e fiabesco. La sua memoria è diventata la mia e anch'io ora ho nostalgia di Saseno.
Mio padre, tenente di artiglieria da costa, vi fu mandato nel 1939 e mia madre, che -letteralmente, l'ho letto nelle sue lettere - non poteva vivere lontana da lui, decise di seguirlo con due figli piccolissimi, Umberto di 15 mesi, Mariarita di 40 giorni. Vissero nell'isola per più di due anni, intervallati da periodi di separazione quando la base diventava troppo rischiosa.
Da quanto ho ricostruito partirono in novembre, quindi in una stagione difficile; il loro primo alloggio era in una zona chiamata Valle Inferno, perché particolarmente selvaggia e battuta dai venti, al punto che una volta il tetto volò via. Mia madre vi allestì per Mariarita una culla fra due sedie e fu molto fortunata perché ebbe latte per lei fino allo svezzamento. I disagi erano compensati da una natura bellissima e incontaminata: rocce affioranti costellate in primavera da miriadi di ginestre e orchidee selvatiche e una popolazione di vari animali, asini, caprette e tanti tanti conigli. C'era a Saseno qualche altra famiglia , ma credo che i miei fratelli fossero gli unici bambini, di conseguenza coccolatissimi da tutti. A mia madre piaceva raccontare questo episodio divertente per tutti escluso il malcapitato: nei mesi più freddi era riuscita ad appropriarsi di una stufetta elettrica, che però non aveva il permesso di usare per motivi di risparmio energetico; Umberto accostandosi troppo si era scottato e, sebbene gli fosse stato proibito di parlarne,  l'arrossamento che ne era derivato sulla  coscia riproduceva esattamente il disegno delle pareti metalliche della stufetta  rivelando l'« illecito» e suscitando l'ilarità del comandante.
Un successivo alloggio era situato vicino a un aerofono, un apparecchio usato per captare in anticipo il rumore degli aerei nemici in avvicinamento e a localizzarne la provenienza. Quando non era in funzione, nonostante le proibizioni, per i bambini il suo dispositivo rotante diventava una giostra.
Sebbene vi si verificassero anche episodi intensamente drammatici - i cadaveri, sulla spiaggia, di una nave affondata davanti a Valona, un aereo abbattuto - Saseno fu per la mia famiglia un rifugio dalla guerra abbastanza sicuro e vi si cementarono  amicizie rimpiante per lungo tempo. Conservo una foto, dedicata a mio padre, del comandante Lauricella citato nell'intervista a Pia Durante;  mio fratello ricorda di avere giocato con due ragazze adolescenti e gli piace pensare che potrebbero essere state Rina e Pia.
Nell'isola nascevano anche storie d'amore. Un giovane ufficiale toscano, ammirando il carattere  e l'aspetto di mia madre, le chiedeva spesso scherzando  se avesse una sorella e, quando la sorella arrivò in visita  trattenendosi per un lungo periodo, non si lasciò sfuggire l'occasione. Dopo un breve corteggiamento in cui lui, con spericolati avvicinamenti, le lanciava dall'aereo pacchi di dolci e doni, fu organizzato il matrimonio sull'isola, celebrato dal cappellano, l'altare adorno di ginestre. Si parlò a lungo di un talamo allestito nella foresteria con due brandine di altezza decisamente diversa.
Anche Pierina, la giovane tata  che viveva con la nostra famiglia e aveva voluto seguirla  in quell'avventura era circuita dai tanti marinai, ma, donna di carattere energico e ombroso, reagiva agli avvicinamenti a colpi di scopa.
Nei periodi di separazione, quando solo mio padre rimaneva nell'isola, mia madre gli scriveva con ritmo giornaliero e, leggendo questa corrispondenza che conservo gelosamente, ho capito che spesso le lettere e i pacchi non venivano impostati, ma recapitati tramite i pescherecci che partivano dal porto di San Benedetto del Tronto, dove lei viveva.
Affascinata da questi racconti, ho fatto un viaggio in Albania  con mio marito  nel 1977 quando era al potere Enver Oxa, aggregandoci  alla delegazione di una rivista, ma non  riuscii a vedere Saseno neanche da lontano. Comunque il viaggio fu interessante e tornai incinta del mio primo figlio.
I miei se ne sono andati col desiderio di rivedere la loro isola,  mi piace pensare che  se  non fossero stati arricchiti, rafforzati nei sentimenti e anche un po' protetti da questa esperienza forse non sarei nata.
*  *  *
É Daniela Grifi, nella testimonianza accolta nel film-libro di Caterina Gerardi, “L’Isola di Rina - Ritorno a Saseno”, opera dedicata all’infanzia di Rina Durante, edita da Milella, che sarà presentato in due appuntamenti mercoledì 15 maggio, e poi ancora il 22 maggio dalle 18.30, nei luoghi della Torre del Parco a Lecce.
Il blog “Ritorno a Saseno, in cerca delle storie - Invito alla testimonianza di chi ha ricordi di vita vissuta sull'isola albanese” (http://ritornoasaseno.blogspot.it) vuole raccontare ed accompagnare il film e il libro nel suo percorso di incontro con il pubblico, ma soprattutto, vuole sollecitare e muovere memoria in quanti hanno vissuto una storia simile a quella di Rina Durante sull'isola albanese di Saseno, un esercizio collettivo per ricostruire una storia rimasta a lungo sconosciuta, come nel caso qui pubblicato di Daniela Grifi che, saputo del progetto, ha spontaneamente contattato Caterina Gerardi per renderla partecipe della sua personalissima esperienza dell’isola.

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