sabato 11 maggio 2013

Piccolo reportage di un viaggio necessario

Il profilo di Saseno visto dalla motovedetta che ci riporta a Valona

di Caterina Gerardi

Saseno è stata per Rina il sogno di tutta la vita. Avrebbe voluto tornarci ed ha provato a farlo più volte, sempre senza risultato.
Per me, dalla notte in cui Rina ci ha lasciato, Saseno è diventata un pensiero costante: dovevo a tutti i costi conoscere quel luogo mitico dove la mia amica aveva imparato ad amare i libri e il mare.
Volevo verificare di persona che l'isola di cui Rina parlava fosse davvero un luogo speciale, il luogo dove la sua infanzia spensierata e selvaggia era stata una esperienza indimenticabile, che aveva segnato nel profondo la  sua personalità, il suo modo di essere donna e scrittrice.
Realizzare il sogno di Rina è stata un’impresa difficilissima.  Ci sono voluti più di tre anni per avere l’autorizzazione di accesso all’isola.
Ogni volta che tornavo in Albania andavo all’Ambasciata italiana per proporre il mio progetto. Erano attese snervanti e code infinite. Giornate intere senza concludere nulla.
Nei soggiorni in quel paese non perdevo occasione per parlare della mia idea, di quello che avrei voluto realizzare, chiedevo aiuto ai miei amici albanesi, ma tutti si stringevano nelle spalle non sapendo cosa consigliarmi.
Una volta però, dopo insistenze, sono stata ricevuta nell’ufficio del primo segretario dell’Ambasciatore. Dopo avermi ascoltata lui mi guardò con un’espressione stupita e sconcertata e mi disse: “Signora, si rende conto di quello che sta chiedendo? Saseno è un’isola militare e nessun civile, nessun albanese è mai salito su quell’isola. E’ impossibile, a Saseno hanno accesso solo i militari”.
Nonostante questa risposta cercai di convincerlo ricordando il legame speciale, affettivo e culturale, che Rina aveva mantenuto con l’Albania, sottolineanando che questo lavoro poteva rendere ancora più saldi i rapporti di amicizia tra i due paesi.
Il giovane segretario, vista la mia determinazione o forse per tagliare corto, scrisse allora su un foglietto il suo recapito e quelli dell’Ambasciatore e dell’Addetto per la Difesa presso l’Ambasciata d’Italia in Albania.
In quel momento capii che le persone i cui nomi erano scritti sul foglio avevano realmente il potere di farmi arrivare a Saseno. Tornata in Italia informai Ada Donno, con la quale avevo condiviso la mia intenzione di ritrovare l’isola, che il progetto poteva forse realizzarsi.
Cominciò così un periodo di serrata corrispondenza con le autorità italiane in Albania. Dopo qualche tempo un fax dell’Ambasciata italiana ci comunicò che il Capo dello Stato Maggiore Generale del Ministero Della Difesa della Repubblica d’Albania aveva autorizzato l’accesso sull’isola di Saseno.
Così ha avuto inizio la nostra avventura.
Una mattina lasciammo il piccolo porto di Oricum con la motovedetta della guardia di finanza italiana, la stessa che controlla i traffici illeciti nella baia di Valona, per raggiungere l’isola.
Durante il viaggio, emozionata e attenta, guardavo dappertutto per non farmi sfuggire nulla. Il cuore mi tremava, avrei voluto avere occhi dappertutto, utilizzarli come se fossero stati un grandangolare estremo
Pensavo alle parole di Rina che si accavallavano nella mia mente: “Saseno era un’isola bellissima”… ”diventava tutta gialla in estate quando fiorivano le ginestre”….  “arrivando dal mare era uno spettacolo straordinario”.
Arrivati nelle vicinanze del porticciolo di San Niccolò la motovedetta rallentò per entrare e in lontananza vidi sulla banchina le sagome di alcune persone che ci aspettavano; per più di un momento ho creduto che tra loro, ad aspettarci, ci fosse anche Rina.
L’accoglienza fu straordinaria, i marinai sapevano già le ragioni della nostra visita ed erano quindi pronti ad assecondare le nostre richieste.
 Salimmo allora su due fuoristrada militari, inerpicandoci lungo una strada di pietre alla scoperta dell’isola e della casa di Rina, seguendo il filo dei suoi racconti: “noi stavamo sul cocuzzolo di una montagna staccati completamente dal resto dell’isola”…  “più in alto c’era il corpo di guardia”…  “dalla nostra casa vedevamo il Comando”.
 I giovani soldati che ci accompagnavano, oramai coinvolti anch’essi nella ricerca, ci indicarono dei luoghi che avrebbero potuto coincidere con la descrizione.  Insieme a loro studiammo una carta geografica dell’isola per capire di più e avere più elementi da seguire.
 Camminammo lungo stradine sterrate, tratturi sconnessi pieni di cartucce e bombe di qualsiasi tipo, senza parlare, in un silenzio assoluto rotto solo dal rumore del mare,  del vento, da fruscii, cinguettii, ma guardando ogni cosa con molta attenzione.
 La vegetazione rigogliosa, che nel frattempo aveva coperto le tracce lasciate dalla guerra, rendeva meno squallido quel paesaggio inquietante.
Cercavamo le argentarie, le ginestre… mi tornavano in mente le parole della sorella Pia: ”andavamo nelle vallate a raccogliere le ginestre, questo era il gioco più bello”… “da una scorciatoia si arrivava al mare dove facevamo il bagno fino a ottobre”…
E’ stato difficilissimo trovare in questa nuova Saseno la traccia dei racconti di Rina. L’isola negli anni si è trasformata, lasciando visibili solo i resti stratificati della storia del tempo passato.
La famiglia Durante era rientrata a Melendugno nell’aprile del 1939, quando Mussolini occupò tutta l’Albania. Dopo la liberazione dal fascismo e dopo i 50 anni di Regime Socialista, Saseno è diventata luogo per esercitazioni militari e preda di saccheggiatori.
L’isola di Rina, il suo paradiso perduto, la bella Saseno era un campo di battaglia. Dovunque rottami arrugginiti, cartucce, bombe a mano, bunker, camminamenti.
I militari ci raccomandavano di stare attente, di non toccare nulla, di camminare con cautela.
Tutto era stato distrutto dalle esplosioni. Rimanevano edifici pericolanti, pavimenti sfondati e muri mitragliati. Dalle scritte sbiadite sui muri si capiva dove c’era stata una scuola, un ospedale, un asilo, un teatro.
Sull’isola ho cercato di mettere insieme tutte le informazioni e i riferimenti emersi dai racconti di Rina e della sorella Pia, per poter riconoscere il luogo dove era situata la loro casa.
Ecco, dicevamo, il monte Cullie deve essere questo…. Lì in alto si vedono i resti del corpo di guardia,…. giù in fondo si scorge il Comando…
Alla fine, in quella che penso di aver riconosciuto, entro, mi muovo nelle piccole stanze, guardo fuori dalle finestre. Tutto sembra al posto giusto. Questa dev’essere la casa! O forse mi sono illusa, ma che importa, ho comunque adottato quella che secondo me è stata la casa di Rina Durante.

Filmare non è stato facile, le riprese sono state penalizzate dal fatto che sull’isola non potevo muovermi da sola, né scegliere i tempi.
Io avrei fatto lunghe soste per ottenere più documenti e più dettagli, ma eravamo sempre accompagnate a distanza ravvicinata da due marinai che, nonostante le rassicurazioni sul fatto che erano lì per aiutarci, mi creavano comunque tensione e ansia.
Il tempo di permanenza sull’isola era poco (almeno per me) e sempre nelle stesse ore del giorno: un paio d’ore la mattina e ancora un paio d’ore dopo la pausa pranzo, poi la motovedetta della guardia di finanza, prima dell’imbrunire, ci veniva a prendere, per riportarci a Valona.
Rina nei suoi racconti parlava di tramonti infuocati, di cieli straordinari, di lune gigantesche. E lì la sera, il buio vero c’era. Ho cercato di rimanere almeno una notte sull’isola, ma mi è stato detto che era impossibile.
Per realizzare questo progetto ho chiesto, come ormai è mio solito, la collaborazione di alcune amiche: Ada Donno e Rosella Simone che sono venute con me sull’isola, Luisa Ruggio che conosceva già questa storia da un’intervista fatta a Rina, le scrittrici albanesi Diana Chuli e Tatjana Kurtiqi e la critica cinematografica Carla Vestroni.
Un discorso a parte merita Daniela Grifi di Firenze, che ha letto in rete del mio progetto e mi ha scritto per raccontarmi che anche la sua famiglia era stata a Saseno.  Suo padre, infatti,  fu mandato sull’isola nel 1939 come ufficiale di artiglieria da costa. Lei, che era cresciuta con i racconti di Saseno, ci ha offerto la sua testimonianza e le belle fotografie d’epoca dell’archivio di famiglia.
Il filmato, della durata di 35 minuti, ripercorre una parte significativa della vita della scrittrice salentina, nel contesto storico-geografico altrettanto significativo delle relazioni politico-militari fra l’Italia e l’Albania nel periodo immediatamente precedente la seconda guerra mondiale.
Il volume che l’accompagna, di 184 pagine, corredato da circa 150 fotografie, contiene in una sezione i testi di Rina Durante relativi all’esperienza vissuta a Saseno, nell’altra gli scritti delle amiche che hanno partecipato al progetto.

Per finire, posso dire che sono abbastanza soddisfatta del risultato raggiunto. Raccontare questa storia è stato molto difficile. Sono passati cinque anni dal momento in cui il progetto è stato pensato. Ma quello che mi rende particolarmente felice è di aver mantenuto la promessa che avevo fatto a me stessa: realizzare il sogno di Rina, ritornare a Saseno.

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